ROY MAKAAY TE QUIERO


Come direbbe Stramaccioni:" TE REGORDI?"


L'altra sera, mentre la di lui futura moglie chiacchierava di arredamento con un metrosexual di provincia (detto anche "un Metroesessanta" se, come me, non avete dimestichezza con questi nomignoli da sedicenti hipster emancipati), io e lo Scemo del villaggio sorseggiavamo un buon vecchio Whiskey delle Highlands scozzesi, disquisivamo nella lingua del Re circa il riarmamento tedesco dell'ultima decade e al proposito del tasso di fertilità irlandese, finché, come un fulmine a ciel sereno, tutt'ad'un'tratt'ecch, è piombato nella discussione un illustre sconosciuto di cui il mondo sembrava aver ingiustamente accantonato la memoria: IL PISTOLERO MAKAAY.


Inevitabilmente è scattato il TE REGORDI di rito e con esso l'intrinseca promessa che i vari protagonisti dei miei futuri scritti avrebbero ceduto il passo e atteso il loro turno in favore dell'olandese di Galizia.

Come faccio sempre però, ho cercato tra i miei remembers prima ancora di consultare le varie fonti di informazioni bolsceviche e fuorvianti quali Wikipedia, la micidiale coppia d'attacco del giornalismo televisivo italiano Fazio-Saviano, il Premio Nobel all'Ossessione Travaglio (che probabilmente sul calcio è poco ferrato, perché dovesse mai imparare dei danni procurati a Berlusconi dalle varie compagini di Club sparse per l'Europa del calcio, inaugurerebbe l'unico filone che paradossalmente ancora gli manca su/di/contro il Cavaliere, e probabilmente sarebbe il drago che non ha mai cavalcato) e gli impolverati archivi di Tutto Sport (quasi sempre da evitare perché fortemente incentrati sul sicuro passaggio di Alan Shearer alla Juventus, di cui hanno riempito estati, inverni e tempi morti di tirature, e di cui ancora trattano).

Mi è quindi venuta in mente la squadra con cui Il Pistolero Maakay era balzato agli onori della cronaca, ossia il Deportivo La Coruna di inizio secolo, il cui ricordo è, per ogni tifoso milanista, un incubo da scacciare e maledire, qualcosa di paragonabile esclusivamente al 3 a 3 di Istanbul Istanbul baluardo sacro per l'incrocio delle razze degli uomini brucerà un episodio nefasto noto a tutti meno che ai diretti interessati.
Istanbul a noi rossoneri piace ricordarla solo così.


Correva l'anno 2004.
Una merdosa serata di fine inverno il Milan venne buttato fuori dalla Champions League in uno dei modi peggiori di sempre, perdendo a La Coruna il ritorno dei quarti con un rotondo 4 a 0, quando all'andata il referto finale diceva 4 goals per i Rossoneri ed 1 solo per il Deportivo.
Per la cronaca quel Depor aveva spedito a casa anche la Juventus; vuole dire che in Galizia la banda di Mister Irureta s'era presa il lusso di mandare fuori dai giochi le due finaliste dell'anno precedente: campioni in carica e vicecampioni, tanta roba. Oltre a questo, giusto per dovizia di infos, i biancoblu s'arresero solo al Porto futuro Campione d'Europa, proprio quel Porto guidato e ispirato da un allenatore che tutta l'Europa avrebbe imparato a conoscere di lì a poco, l'istrione di Setubal: José Mourinho (che proprio col Milan aveva perso di misura la Supercoppa Europea l'estate precedente. Ma il bello del calcio è proprio questo: che è tutto meno che transitivo)
Bell'incrocio di eventi, o ennesima dimostrazione che l'idea di casualità vada rivista.

La successiva primavera a Maranello si disputò il più importante torneo amatoriale d'Europa: L'ABBUFFATA.
La mia compagnia, sapendo di contare su uomini di qualità e quantità, decise di buttarsi nella mischia e giocare. Partiti a fari spenti, sconosciuti ai più, e senza far troppo rumore, arrivammo in finale perdendo solamente ai rigori.
Sbagliò, come in ogni buona favola di calcio che si rispetti pur non godendo di lieto fine, quello che s'era dimostrato il più in palla di tutti, quello che vinse il titolo di miglior giocatore del torneo. Dovessi definirlo oggi direi la risposta di Torre Maina a Gareth Bale.
Non sapevamo come chiamarci, per cui, su proposta di amici esterni alla squadra:"Zeman, chiamatevi DEPORTIVO, come quelli che han buttato fuori il tuo Milan di merda!", demmo loro retta e ci chiamammo proprio così.
Fu una cavalcata emozionante.
Il giusto mix di giovanissimi non ancora sulla via dello sbando, vecchi con esperienza, qualche cierresette del Distretto Ceramico, giocatori di categoria abituati a mordere i garetti, gente irrequieta, rissaioli da discoteca, uomini-spogliatoio di una volta, ed una dirigenza seria destinata a far parlare di sé nei tempi a venire.
Se la memoria non mi inganna passammo il girone in tranquillità prendendo tutti a pallate, superammo quarto e semifinale in carrozza, dopodiché incontrammo la Germania di turno e perdemmo nella subdola, turgida, cinica lotteria dei rigori.

Tuttavia Rudolphus Anton Makaay non c'entra nulla con tutto questo.
Non era in nessuno dei due Deportivo, né in quello maranellese che sfiorò la conquista dell'Abbuffata (anche perché non avrebbe assolutamente trovato posto in un attacco collaudatissimo, roba che neanche i Calipso Boyz), né in quello che catapultò fuori dalla Champions League sia il Milan di Ancelotti che la Rubentus della Triade.
Se n'era andato dal Depor l'anno prima: nel 2004 il Pistolero era già in Germania, in forza al Bayern di Monaco.

Aperta parentesi graffa. Nei primi anni del secolo la Champions League assistette, a mio parere, ad uno strano fenomeno di esposizione mediatica. Scoprire le rose delle squadre straniere era come colonizzare regioni sconosciute: non solo si veniva a conoscenza di realtà calcistiche straordinarie fino a quel momento ignote, ma anche che in queste squadre giocavano dei SIGNORI CALCIATORI e non delle mezzeseghe come, senza ragione, si riteneva fossero tutti quelli che non disputavano il Campionato Italiano o non giocassero per i famosi grandi club.
Aperta parentesi quadra.
Giusto per darvi un'idea di cosa intendo, ricordo che la stampa spagnola, proprio in quei tempi, accorgendosi di un rossomalpelo che trotterellava con piena cognizione di causa in mezzo al centrocampo dei Red Devils, se ne uscì con un brillante:"Paul Scholes è il più forte centrocampista sconosciuto d'Europa". Stavano parlando di Paul Scholes, non di Memo di Maranello.
Aperta parentesi tonda.
Il Deportivo era il Sancta Sanctorum di tutti questi illustri sconosciuti, tanto che rinominarli ora ha lo stesso sapore di ricordare i protagonisti dei cartoni animati giapponesi che guardavano da pischelli su Odeon TV. Song'o, Pauleta, Djalminha, Juan Fran, Luque, il sempiterno Donato (età presunta al tempo 42 anni - età reale 53 e mezzo - età attuale 79.), Naybet, Mauro Silva...
Chiusa parentesi tonda, quadra, graffa, e torniamo in onda sul Pistolero Makaay.

In uno dei tanti processi di rifondazione bavarese, Kaiser Franz tirò fuori 21 milioni di euro tedeschi e li versò nelle banche galiziane, prelevando quanto segue.


Roy Makaay, classe '75, segni particolari: attaccante di una volta.
Gioca in Spagna per cinque stagioni, disputando 205 partite e mettendo a segno 100 gol, cifra tonda.
Dopo due stagioni al Tenerife, si trasferisce sull'Atlantico, debutta contro l'Alavés, e si presenta al suo nuovo pubblico con una tripletta per la serie:”se il buongiorno si vede dal mattino”.
Quello stesso anno segna 22 gol e trascina quello che verrà ribattezzato SUPERDEPOR alla conquista del suo primo e, per ora, unico titolo della sua storia.
Sì, incredibile ma vero, ci sono stati anni in Spagna in cui esistevano squadre oltre la Cortina creata da Real Madrid e Barcellona, e addirittura vincevano la Liga.
Nei due anni che seguono al titolo, sebbene perseguitato dagli infortuni, biffa 28 volte nel 2001/2002 e 29 volte nel 2002/2003 laureandosi Pichichi e vincendo la Scarpa d'Oro in qualità di miglior cannoniere, pardòn, PISTOLERO, d'Europa.
A questo vanno aggiunte anche una Copa del Rey, due Supercoppe di Spagna, e una Coppa di testa.


Abbandonato El Riazor, stadio del Deportivo dal nome esotico e affascinante, si trasferisce in Baviera e ripaga la fiducia della società di Beckenbauer segnando scamionate di reti. Alla fine della sua avventura a Monaco, il suo bottino complessivo sarà di 62 gol in tre stagioni, grazie alle quali aiuterà il Bayern a mettere in bacheca due campionati e tre coppe nazionali.
Si mette in evidenza anche per un record particolare, quale il gol più veloce segnato in Champions League, per l'esattezza contro il Real Madrid nel Marzo del 2007.


Chiude la carriera nel Feyenoord, in Olanda, il suo paese natale, squadra nella quale -se il più importante avvocato di Pavullo dice il vero- gioca al fianco di un altro bell'illustre sconosciuto: Jon Dahl Tomasson.

La storia del Pistolero Makaay non è tanta roba in sé e per sé, ma aver rispolverato i ricordi legati a quei confusi anni di Champions League, dove le gerarchie non erano ancora chiare, dove c'era ancora spazio per le sorprese e le scoperte inaspettate, mi ha divertito ed appassionato enormemente.
Una squadra come il Superdepor, ora come ora, non esiste nel panorama europeo, e se un prova anche solo ad ipotizzare un confronto, il risultato finale è deludente.
Ogni compagine, anche l'underdog di turno, è pur sempre composta da fenomeni e giocatori di livello, top players e gente di esperienza: non si trovano dei zavagli come Donato, dei fantasisti mediocri come Juan Fran, o dei bomber di razza come Makaay, i quali, per una strana combinazione di stelle buone e contingenze, vincono quello che devono vincere nella propria nazione di competenza, volano nell'Europa che conta e si tolgono soddisfazioni per cui nel calcio di adesso sembra non esserci più alcun posto.
Altri tempi: una volta (che poi è giusto dieci anni fa) esistevano squadre imprevedibili (in primis a loro stesse, quindi figurarsi agli avversari), ora che si conosce il costo di ogni giocatore ed il valore di nessuno di loro è tutto è tutto dannatamente già scritto e tutto dannatamente noioso.



Bene, dopo aver ricordato l'ovvio per l'ennesima volta, colgo l'occasione per chiedere scusa da parte mia e del mio socio degli enormi ritardi accumulati tra articolo e articolo, ma la politica editoriale è cambiata. Non pubblicheremo più a cadenza settimanale o bisettimanale, faremo un po' come fan le belle ragazze con le tette, ossia decidiamo noi come e quando mostrarle.
Cosi è, se vi pare.


PERCHÈ LA GUERRA È BELLA, ANCHE SE FA MALE, ANCHE FRA DI NOI


Una delle più fulgide espressioni del calcio dei balcani (e dei mal di schiena che ti rovinano la vita) nasce ad Imoschi l'8 ottobre 1968 ed ha un nome, un cognome e un soprannome pesanti: Zvonimir Boban, detto Zorro.
Esordisce nella prima squadra della Dinamo Zagabria a 16 anni dimostrandosi da subito un 10 sornione, di grande intelligenza tattica, con una tecnica a tratti paranormale ed una visione di gioco che rasenta la veggenza. Zvonimir già sa dove mettere il pallone per mandare in porta un suo compagno o per disorientare lo sventurato difensore di turno. Unite tutto questo ad una personalità marcata ed avrete il più giovane capitano della squadra di Zagabria con i suoi 19 anni.


Zorro (che in lingua ispanica, mi dicono, significhi "volpe") è parte integrante della golden generation jugoslava di fine anni '80 che, Mondiali d'Italia del 1990 a parte, non parteciperà a nessuna competizione per nazionali a causa della sanguinosa ed efferata guerra balcanica che distrusse la Jugoslavia a partire dal 1991 e la frantumò, poco per volta, in stati differenti ed indipendenti: Slovenia, Croazia, Serbia, Bosnia Erzegovina, Macedonia e, recentemente, Montenegro.
Ma vorrei tornare al calcio giocato ed alla appena evocata golden generation jugoslava che si laureò Campione del Mondo under-20 nella manifestazione che si disputò in Cile nell'ottobre del 1987. Una squadra, quella che la Jugoslavia schierò in quell'edizione, con una quantità di talento pro-capite tale da far perdere la testa a chiunque abbia un minimo di senso estetico. Una squadra capace di mettere all'angolo il Brasile, che schierava Zè Maria, Cesar Sampaio e Andrè Cruz, la Germania Est di Matthias Sammer, la Germania Ovest di Andreas Möller, i padroni di casa del Cile e di vincere, dimostrando una netta superiorità, l'allora mondiale riservato agli under-20.
Nei 18 partecipanti a quella spedizione, per darvi un'idea di quanta manna avesse a disposizione la Jugoslavia unita, c'erano (oltre a Zorro, s'intende):
- Robert Prosinečki


- Davor Šuker


- Predrag Mijatović


- Robert Jarni


A questo punto risulta evidente l'ineluttabilità del trionfo balcanico, che un carrarmato di rock così non poteva arrestarlo nessuno.

L'inserimento di questi ragazzi nel giro della nazionale maggiore non è del tutto indolore e costa alla Jugoslavia la partecipazione all'Europeo tedesco del 1988, che a posteriori diverrà patrimonio di Marco Van Basten. Ma Ivica Osim, Ct della Jugoslavia, sapeva benissimo quello che faceva e unendo i "ragazzi del Cile" con la vecchia guardia dei  Savićević, degli  Stojković, dei Katanec, degli  Ivković (il portiere che vinse due scommesse con Diego Armando Maradona*) conquistò con estrema facilità la qualificazione al mondiale che nel 1990 si sarebbe svolto in Italia, facendo anche un grosso favore al mondo intero estromettendo dal suddetto evento quella porzione di terra che divide l'Italia dalla Spagna.
Ma andando a controllare la lista di partenza per la sopracitata spedizione italica, Zvonimir Boban non risulta inserito nell'elenco degli allora 22 giocatori convocati. Scomodando il taumaturgico San Josè da Setubal, bisognerebbe chiedersi: ¿Por qué?

Zagabria, 13 maggio 1990, stadio "Maksimir".
Nel catino croato si affrontano, davanti a quasi 20000 spettatori e ad un numero enorme di forze dell'ordine, i padroni di casa della Dinamo Zagabria e i nemici di sempre della Stella Rossa di Berlgrado.
C'è da precisare, poiché abbiamo perso la memoria del ventesimo secolo, che una settimana prima si erano svolte le prime elezioni post-Tito in Croazia e che il popolo croato, insieme alla Slovenia, erano i promotori e i locomotori che puntavano a riorganizzare la Jugoslavia Berlgradocentrica in una confederazione di stati. Aggiungete a questo il leggerissimo e ben nascosto sentimento nazionalista che da sempre contraddistingue la popolazione serba e si può ben immaginare il clima che si respirava a Zagabria in quel giorno di maggio.
Le frange più cariche delle due tifoserie, i BBB (Blue Bad Boys) per la Dinamo e i Delije per la Stella Rossa, cominciano prima a cantarsele e poi a lanciarsi addosso qualsiasi cosa capitasse loro tra le mani. Nella fattispecie seggiolini, tubi di ferro e addirittura striscioni pubblicitari.
Per la cronaca i Delije erano capitanati da un certo Željko Ražnatovic, più conosciuto come la Tigre Arkan, eminenza grigia (ma poi nemmeno tanto) della polizia segreta jugoslava prima e miliziano agli ordini di Slobodan Milosevic poi. Non propriamente un'educanda insomma.


In ogni caso la guerriglia tra le due tifoserie continua fino a quando, giocoforza, scende in campo la polizia jugoslava. Polizia jugoslavia che, essendo a stragrande maggioranza serba, mantenne un certo lassismo verso i tifosi della Stella Rossa ed, evidentemente, una durezza più accentuata, condita da cariche a suon di manganelli e lacrimogeni, nei confronti dei sostenitori (se ancora così vogliamo chiamarli) croati.
Così i Blu Bad Boys perdono le staffe ed invadono il terreno di gioco per, letteralmente, andare a stanare i serbi e dar loro un "cordialissimo benvenuto". Ma qui la situazione precipitò e furono costretti ad intervenire i reparti antisommossa. Così, 61 feriti e un paio d'ore dopo, la situazione venne in una qualche maniera ristabilita.
Va segnalato, per amore di verità, che i giocatori della Stella Rossa riuscirono a fuggire barricandosi negli spogliatoi e trovando la salvezza e una rocambolesca fuga all'interno di un elicottero privato, mentre i giocatori della Dinamo rimasero in campo ad assistere, non senza conseguenze, ai violenti scontri.
Nel parapiglia generale un agente di polizia, come non di rado accade in eventi simili e nei tutti contro tutti di questo tipo, dopo aver fermato e gettato a terra un ultrà della Dianmo Zagabria, comincia a colpirlo a calci e manganellate. Il ragazzo è a terra e gli stivaloni dell'agente non vogliono arrestarsi ed allora dentro la testa del capitano ventunenne della Dinamo, tal Zvonimir Boban detto "Zorro", seguono quei momenti che non vorresti vivere, in cui ti viene una rabbia grande almeno quanto un mare in tempesta e te lo chiedi: cos'ha in testa certa gente? Cos'ha in testa certa gente? Beh, davanti a quella palese ingiustizia, a quell'immotivato accanimento "Zorro" reagisce e prende a calci, riuscendo ad allontanare, l'agente di polizia dal malcapitato ragazzo.


Il gesto ebbe un'ampia eco e in Jugoslavia e in tutta l'Europa pallonara. Così la federazione jugoslava squalficò (o sacrificò?) Boban per nove mesi e gli impedì di partecipare al mondiale di Italia '90. Per la cronaca la Jugoslavia venne eliminata ai calci di rigore dall'Argentina di Diego Armando Maradona nei quarti di finale.

In ogni caso Boban un mondiale lo giocò lo stesso e fu quello di Francia del 1998. E lo fece da primattore assoluto. Lì con i compagni di una vita Davor Suker e Robert Prosinecki portò la allora sportivamente neonata Croazia al terzo posto, qualcosa di eccezionale veramente.

Ma, al di fuori di questo episodio, è così che voglio ricordare "Zorro": 




* Tomislav Ivković, portiere della nazionale jugoslava, parò, dopo aver scommesso col diretto interessato, due calci di rigore a Diego Armando Maradona. Il primo con la maglia dello Sporting Lisbona, il secondo con quella della nazionale. Il "conquibus" non venne mai svelato, ma in entrambe le occasioni vinse la scommessa personale, ma sul piano sportivo se le beccò in quel posto, venendo eliminato sia dal Napoli (primo turno della Coppa UEFA 1989-1990) che dall'Argentina (quarti di finale del mondiale italiano del 1990).

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