Non riesco ad essere un
organizzatore troppo affidabile. Chi mi conosce lo sa e non mi manda a quel
paese troppo di frequente. Almeno per questo motivo, s'intende.
Fatto sta che provo ad
organizzare una gitarella fuoriporta per il 25 aprile con i Christians del
sodalizio (anche conosciuti come Chè e Kiki) e le rispettive compagne/mogli. Il
tutto consisteva nell'arrivare a Spilamberto (provincia di Modena) in tempo utile per vedere suonare un
gruppo reggiano, i Gazebo Penguins.
questi menano forte.
Evidentemente qualcosa va storto
e arriviamo, dopo aver raccattato il settimo incomodo Riccardo Cavani intento a
scansare donne come fossero zanzare, a festa bella che finita.
Così decidiamo di riparare in un
pub della ridente Spilamberto, pub che la Benny già conosceva e ben aveva
recensito.
Mangiamo, beviamo e,
contestualmente, di quando in quando si esce a far prendere aria grama ai
polmoni. E, in uno di questi attimi, mi ritrovo con Chè a discutere di un
annoso problema che ci affligge da poco: la comparsa dei primi capelli bianchi.
P.s. Sul perchè ne abbia discusso
con Chè e non con Kiki è particolare che evito per amor di sodalizio.
Kiki, Chè e il sottoscritto: sodalizio, che supplizio.
Comunque. Chè racconta che la
Benny gli ha trovato un paio di frecce d'argento nella chioma e lui, per
credere alla notizia, l'ha costretta a strapparglieli. Mossa furba? Per la Vox
Populi mica tanto: ad ogni capello bianco strappato, si vocifera, ne
ricompariranno sette.
Dopo averlo perculato quel tanto
che basta, io ho ribattuto spiegando, con la mia consueta brevità, le
sensazioni che ho provato quel mattino di ottobre a Lisbona quando, rimirandomi
per la millesima volta allo specchio, ho scorto un maledetto filo d'avorio
spuntare dal mio crine.
“Santu – ha puntualizzato Chè –
sembra ieri che avevo diciassette anni... mi è scappato un pezzo di vita.
Adesso sono vecchio”.
"se avessi 50 anni..."
Per quanto possa essere assurdo,
quest'ultima frase mi ha ronzato in testa come una miccia esplodendo solo
quando la domenica, dopo un pomeriggio passato ad ascoltare la presentazione
della tesi di Silvia, ho acceso la tv e messo sulla pagina 201 del televideo di
Merdaset.
Scritta gialla su sfondo nero: È
MORTO VUJADIN BOSKOV.
Silenzio. Scoramento. Tristezza.
Non ho bisogno di fare la dieta. Ogni volta che entro a Marassi perdo tre chili.
Ora, per voi, il suono dell'hardcore riavvolgiamo il
nastro.
Ho cinque anni abbondanti e la
voce di Bruno Pizzul si collega da Stoccolma, è il 1990 e la finale di Coppa
delle Coppe dice Sampdoria-Anderlecht. È, a mia memoria, la prima volta che mia
madre mi permette di stare sveglio oltre le 22. Il Doria, che già aveva
attirato le mie simpatie (se non altro per il meraviglioso aspetto cromatico),
vince 2-0 e io mi innamoro di un amore così profondo che mi ha portato ad
essere partecipe per una vittoria 0-2 a Cittadella come per una sconfitta a
Wembley (spoiler drammaticamente doveroso). È la Samp del meraviglioso
capellone Vialli, del mio idolo incontrastato di sempre ROBERTO MANCINI, di
Attila Lombardo, di Vierchowod, di Gianluca Pagliuca, di Toninho Cerezo, di
Lanna, di Pellegrini, di Moreno Mannini... Era quella Sampdoria lì. E in panchina
c'era questo vecchietto, che poi tanto vecchietto non era. Ma, e qui ritorno un
attimo in tema, i capelli bianchi credo abbiano una fascinazione di un certo
tipi sui bambini, o almeno su di me l'avevano.
CHE BELO!
Poi lo scudetto che ho vissuto un
briciolo più consapevolmente, ma solo un briciolo eh. Ricordo che scrivevo
sulla lavagna delle scuole elementari risultato, formazione e marcatori della
partita della domenica. Perché mia madre mi abbia evitato intense sedute di
psicologia infantile rimane un mistero. Ricordo Giulio Nuciari in
Samp-Lazio-1-1, Marco Branca, la punizione velenosissima di Branco.
E questo signore che si faceva
intervistare, che “Sampdoria è come bella ragazza, tutti volere dare bacio” o
“Palla a noi giochiamo noi, palla a loro giocano loro”. Di quando “Palla entra
se Dio vuole” e dell'immortale “Rigore è quando arbitro da, non quando
guardalinee da”.
Sapeva quanto fosse difficile
vincere dove non si è abituati a farlo.
Vujadin Boskov, che allenò il
Real Madrid vincendo una Liga e sfiorando una Coppa dei Campioni, lo sapeva.
Spostava, o almeno cercava, di
spostare la tensione altrove. Spesso ci riusciva, altre volte era molto più
impegnato a tenere unito uno spogliatoio pieno di ragazzi che, lontano da
Genova, avrebbero guadagnato e vinto molto, molto di più.
Per me era uno zio. Lo zio che ti
fa ridere e che ti insegna come far passare la nottata. Lo zio che non ho mai
avuto.
“Allenatori come gonne, un anno
di moda quella corta, anno dopo dentro armadio”.
un omaggio sui generis
Poi Wembley. Una sconfitta
tremenda.
In un documentario che mi passò
un mio compagno delle superiori Boskov, con quel mezzo sorriso e gli occhi un
po' lucidi, raccontava così: “Noi avuto tante palla-gol. E LucaViali, mio
pupilo mio figlio, ha avuto palla-gol che è dificile se può sbagliare. E
sbagliata. LucaViali”.
Onestamente, avendo visto quella
partita almeno una ventina di volte, non saprei trovare un modo migliore per
spiegare o per raccontare una situazione così drammaticamente bene.
Cose dell'altro mondo
C'è da dire che l'avventura di
Boskov alla Sampdoria rischiò di interrompersi molto presto per la famosa
sparata sul neo acquisto genoano Josè Perdomo, il cui modo di stare in campo
venne derubricato alla voce quadrupede indisciplinato. Mantovani lo costrinse
ad un rettifica forzata e così il sodalizio diventò leggenda.
Dopo Genova, Roma. Dove fece
esordire Totti e forgiò Sinisa Mihaijlovic. Poi Napoli, ancora Sampdoria (in
tempo per portare a casa la barca dopo la disastrosa esperienza Menotti) e
Perugia. Il gioco del destino: in quel 1999 salvò il Perugia proprio a scapito
della Sampdoria... Poi dicono che le cose succedono per caso...
In quei tempi perugini,
intervistato da Franco Ligas, Boskov difese i suoi giocatori dalle accuse di
scarsa precisione nel tiro in porta con un altro celeberrimo aforisma “Chi no
tira, no sbaglia”.
Poi la nazionale slava
all'europeo del 2000, l'incredibile pareggio nel derby con la Slovenia e un'altrettanto incredibile sconfitta contro la Spagna.
La Jugoslavia al riposo era sotto di 3 reti, al rientro in campo pareggiò e rischiò di vincere
Ma per me Vujadin Boskov rimane e
rimarrà sempre il timoniere della squadra dei sogni di quando ero ragazzino. Un
uomo buono e capace che si faceva rispettare con l'intelligenza e non con la
violenza o l’intimidazione. Un uomo ancora vero in un mondo che stava già
cambiando, per quel che riguarda il calcio, in vetrina per urlatori e tuttologi
di 'stocazzo.
Perché invecchiare non credo sia
trovare un qualche capello bianco o vedere/sentire il proprio corpo cadere
lentamente a pezzi, ma vedere che persone che sono state importanti per te,
quindi nella maggior parte dei casi più vecchie, muoiono. Se ne vanno. E, fino
a che non starà a te, non le vedrai più. O non le vedrai più e basta.
Resta di loro, ed è il lascito
più importante, quello che appunto ti hanno dato. Come e perché ti hanno
segnato.
E a me il Labbro di Novi Sad ha acceso
la fiamma di un calcio di cui adesso, purtroppo, non è rimasto nulla. Se per
voi è poco, beh mi dispiace per voi.
Come avrebbe chiosato lui, “Noi
siamo noi y loro sono loro”.
Inizialmente avevo pensato di scrivere
un articolo sul mio blog perché l'imbeccata della storia che segue
aveva intercettato quella della mia vita in maniera del tutto
rocambolesca (che, come diceva il grande mediano metodista Gigi
Pirandello, l'inverosimile non può permettersi di non essere
autentico, alla lunga non reggerebbe, per cui occorreva mettere nero
su bianco perché nemmeno con tanta fantasia avrei immaginato una
trama simile, giocoforza dovevo tenerne nota), poi però, sapendo che non avrei potuto evitare di
parlare di calcio, ho preferito deviare sulle colonne degli 11
Illustri Sconosciuti, dando, per la prima volta, seguito ad un
suggerimento ricevuto dall'esterno.
Sono solito prestare il mio orecchio a
tutti ma la mia voce a pochi: tuttavia in questo caso mi son permesso
uno strappo alla regola perché, una volta lette le vicende del
calciatore di cui tosto (beh, non troppo “tosto”) andrò ad
angustiarvi, chiedere di scriverne è stato come invitare un'oca a
bere.
tum chà – tum chà.
CAPITOLO 1 – HERE, THERE &
EVERYWHERE
Nel fare un passo indietro vi chiedo di
pazientare o, in alternativa, saltare a piè pari il presente
capitolo che, fondamentalmente non c'entra 'na mazza, ma “s'ahveva
dha fa'”.
Prati di Barigazzo dalla Capannaccia
Dovete sapere che gli 11IS hanno una
casella mail, o come dice il mio CTS “un'imai”, a dire il vero
pochissimo frequentata sia da mittenti foresti che dagli stessi
proprietari. Beh, una volta ogni mai la consulto per verificare che
nessuno ci abbia denunciato alla buoncostume, ci abbia offerto
prestiti a tassi di usura o abbia adito le vie legali a vario titolo.
Succede che trovo un'interessante mail
di un ragazzo torinese d'istanza in Polonia, il quale, nel
presentarsi, dice di avere una nonna originaria di Barigazzo, che,
per chi fosse poco pratico del Frignano, è una piccola frazione di
Lama Mocogno, sull'alto Appennino modenese. Immagina che noi, essendo
geminiani, lo conosciamo, ma non sa quanto le sue intuizioni si
avvicinino alla realtà. Insomma, morale della favola: il mondo è un
posto piccolissimo e sei gradi di separazione a volte sembrano essere
addirittura troppi.
Per antefatti che non starò a
descrivere qui, pur senza vantare alcun legame di sangue o di
discendenza, io a Barigazzo conosco praticamente tutti: abitanti
vecchi e nuovi, famiglie intere ed in cantiere, villeggianti seriali
o di regolare passaggio. Ci ho trascorso dieci estati e metà
inverni, ne conosco strade, sentieri, prati, boschi e selle. Per
tanto tempo l'ho considerata una seconda casa, fino a che -senza
stare a spiegare come e perché- giustappunto la scorsa estate, la vita ci ha spinto verso direzioni
diverse, che rimane un bellissimo modo per dire che non ci è dato
sapere come e quando, ma le cose s'interrompono, e fondamentalmente
va bene così.
Ad essere molto più che sinceri, avevo
deciso di limitare i miei rapporti con Barigazzo a questioni di vita,
di morte o di miracoli perché, per come intendo io le faccende
umane, spesso il modo migliore per apprezzare alcune di queste
rimane quello di schivarle di netto. Nondimeno e senza pontificare
oltre, se ero uscito dalla porta, la mail di questo ragazzo mi ha
fatto rientrare dalla finestra.
Barigazzo non è una metropoli, per
cui la nonna di questo ragazzo doveva essere per forza parente di
qualcuno che conoscevo. E, dopo aver incaricato il mio servizio di
intelligence (leggasi: la nonna di una ragazza del posto) di
informarsi al riguardo, ho scoperto che era proprio così, e
ovviamente né il mittente della mail né la mia amica erano/sono a
conoscenza l'uno dell'altra.
Ma non finisce qui.
L'indirizzo mail del ragazzo che ci ha
contattato non è il solito nome.cognome@sticazzi.it bensì
doyoubelieveinrapture@sticazzi.org. Questo potrebbe non significare
niente per nessuno, ma a me (e non dico nemmeno “stranamente!”,
perchè in questa storia ci sono più colpi di scena che nella quarta
serie di Breaking Bad) dice molto.
Di ritorno dalle mie estati
barigazzine mi divertivo (ero universitario, avevo del gran tempo da
perdere) a collazionare filmati con le foto che erano state scattate
durante la vacanza, ovviamente corredate di una degna colonna sonora.
Dello sbanderno che ne avrò fatti, ne ricordo uno e uno solo.
Riguardava una grigliata ai Landifrara (un appuntamento d'obbligo nel
granvarietà feriale di Barigazzo), e la cosa più buffa di quel
montaggio amatoriale consisteva nell'aver ritratto un amico che ad
ogni scatto impugnava un Heineken da 66, mai la stessa che stava
bevendo nella foto precedente. La canzone che avevo scelto era “Do
you believe in rapture” dei Sonic Youth, che sono una delle cose
più lontane dall'essere il mio gruppo preferito, ma che con quel
pezzo mi avevano spaccato la testa. L'avevo messa giù così bene che
tutte le volte che mi è capitato di riascoltarla per altri motivi,
avevo comunque in mente ogni frame del video, come se musica e
immagini fossero divenute due entità inscindibili.
Il mio montaggio, ovviamente, è andato perduto tra le opere d'arte defraudate dai nazi.
Io mi sforzo di credere in tante cose,
credo pure che un giorno riuscirò a pronunciare correttamente
Borussia Moenchengladbach senza impappinarmi, ma qui stiam parlando
d'altro, siamo oltre il concetto di martingala o di tela di Penelope, qui qualcuno ha
buttato a caso una serie di dadi ed ha indovinato non solo che somma
avrebbero dato ma anche che numero sarebbe uscito per ciascuno di
questi. Ma non credo ci siano spiegazioni logiche, credo solo che
certe cose accadano, accadono così e, come recita la canzone con cui
ho aperto il libro, accadono qui, dove “qui” ha l'accezione
beatlesiana del termine: here, there and everywhere, in Emilia, in
Polonia... dove volete!
CAPITOLO 2 - DASVIDANIA TOVARISCH!
Il ragazzo torinese di avi barigazzini,
dopo aver fatto l'appello ed essersi profuso in graditissimi
complimenti volti ad incrementare la nostra vanagloria, suggeriva di
scrivere di un calciatore che assurgeva perfettamente -e con tutti i
crismi del caso- al ruolo di Illustre Sconosciuto: Vasilis
Hatzipanagis, detto “Il Mago”.
Nonostante esistano siti greci,
inglesi e spagnoli che ne parlano, dalle mie ricerche non mi risulta
che nessuno ne abbia ancora scritto in italiano (se non qualche
striminzita riga su Wikipedia), per cui ready steady go, lo faccio
io, che l'occasione di scriverne è un po' come depilarsi per una
donna, puoi non sapere il come o il quando ma sai che arriverà il
momento, quindi meglio farsi trovare pronti ed esibire tutto il
repertorio quando l'ora volge al desiderio.
Il cappellone “Vasia” nasce a
Tashkent in Uzbekistan da genitori greci comunisti, che avevano
riparato in Unione Sovietica poiché in Grecia il KKE (l'equivalente
del nostro PCI) era stato messo al bando.
Per poter giocare nel
campionato sovietico, il giovanissimo ma già talentuoso Vasilis deve
richiedere la cittadinanza “di grande madre Russia” e accetta.
Non sa che questo gli comprometterà per sempre quella che avrebbe
potuto essere una luminosissima carriera.
Tra i commenti che si trovano ai
filmati su Youtube c'è chi ha scritto che questo è probabilmente
uno dei più grandi talenti sprecati di tutti i tempi e che avrebbe
potuto essere uno dei più grandi calciatori di sempre, se ne avesse
avuto la possibilità. Preciso come un dito in culo: non avrebbe
potuto commentare meglio.
Ma come direbbe lo chef
Barbieri:”Attenzione!” non stiamo parlando del talento di RobinFriday o di Paul Gascoigne o di Mario Balotelli, stiamo parlando di
un talento imprigionato da cavilli burocratici e, come vedremo,
ambientali. Hatzipanagis infatti avrebbe dato fondo a tutto il suo
talento senza risparmiarsi mai, ma questo non sarebbe bastato.
Debutta a soli 17 anni, entra subito
nella rappresentativa sovietica degli Under 19 giovando quattro gare,
ed è considerato uno dei più forti giocatori del campionato. Quindi
accade ciò che sarebbe dovuto accadere e che, al contempo, sarebbe
stato meglio non fosse mai accaduto: dasvidania tovarish! e se ne va
a giocare in Grecia, la nazione della propria famiglia, più
precisamente all'Iraklis di Salonicco.
#loavessemaifatto
Hatzipanagis non impiega molto a
dimostrare il suo immenso valore e ben presto diventa l'idolo
incontrastato della tifoseria di Salonicco che, senza doverci pensare
troppo, gli attribuisce un soprannome perfetto: IL MAGO. Vasilis
viaggia su frequenze che sono del tutto ignote ai comuni mortali: non
gioca a pallone, dipinge calcio e non a caso più di una volta è
stato definito “Il Maradona greco”. Abilissimo nel dribbling, e
non perché uno la palla la impara a passare a sessant'anni, ma
perché, come diceva lui stesso:”Quando vedo dei difensori attorno
a me, voglio scartarli uno dopo l'altro”, guadagna pure, per le sue
evoluzioni e i suoi trascorsi sovietici, il buffo appellativo di
“Nureyev del pallone”.
Nel cercare una foto di Nueryev mi sono
imbattuto in una foto di nudo che mi limito a linkarequi perché,
fino a prova contraria, io ed il mio compagno di lettere siamo
eterosessuali al 100%, però riconosco che la sua omosessualità deve
essere stato un bel peccato per il gentil sesso, visto il missile che
si ritrova in mezzo alle gambe. Erano stati dei bravi sarti, i tifosi
dell'Iraklis, avevano cucito addosso un bel vestito a Vasilis,
paragonandolo al ballerino russo, perché in comune di sicuro avevano
una cosa: il talento sprecato.
Il ragazzo di Torino mi ha invitato a
guardare alcuni video su Youtube e ne ho trovato uno che, al di là
dell'ardito nome “Who is Messi? Vasilis Hatzinapagis Highlights”
mi ha colpito molto.
Cappellone, inevitabile 10 sulla
schiena e mancino naturale: già di per sé sussistono le condizioni
di esistenza per prendersi alcuni minuti e guardarne gli highlights
con attenzione. Poi si fa caso ad un mucchio di altri piccoli ma
rilevanti particolarità perchè, non mi stancherò mai di ripeterlo,
il diavolo sta nei dettagli.
Il Mago ama davvero imbottigliarsi nel
traffico e circondarsi di difensori che non gli porterebbero via il
pallone nemmeno se ci provassero per quindici giorni di fila, quindi,
dopo aver creato praticamente da solo la netta superiorità numerica
dei propri compagni, con occhi che sembrano fare le curve individua
sul radar un amico cui recapitare la sfera, il quale, nove volte su
dieci, si trova a tu per tu con il portiere: gol, arrivederci e
grazie, mettete pure sul conto, paga il Mago.
Rob de matt
CAPITOLO 3 – CONDIZIONI CLIMATICHE
CHE RENDONO STERILE
Sarà che mentre scrivo ho rimesso in
circolo gli Afterhours perché a breve mi ricapiterà di vederli nel
tour di “Hai paura del buio” diciassette anni dopo l'uscita
dell'album, ma mi è tornato in mente questo verso di una canzone
che, in verità, fa abbastanza cagare (e non era nemmeno nell'album
summenzionato) ma che ben si presta come titolo al capitolo.
Giocare a Salonicco, allo stadio
Kaftzansoglio, non è esattamente una leggerezza. A quelle latitudini
il calcio è una questione dannatamente seria (il ragazzo della mail
ha scritto:”da manicomio”) e mettere la maglia dell'Iraklis è
come un diamante: per sempre.
Hatzipanagis fa bella mostra di sé e
diverse squadre europee, tra cui Porto, Lazio, Stoccarda e Arsenal,
gli mettono gli occhi addosso. Il Mago vorrebbe provare altro, non
solo perché stanco che le squadre di Atene facciano man bassa ogni
festa ed ogni campionato, ma anche per cimentarsi in tornei di più
alto livello.
Tuttavia la dirigenza della società non osa immaginare
la possibile reazione della calda tifoseria qualora venga deciso di
cederlo (ancora, il ragazzo della mail, che a Salonicco ci ha vissuto
un anno, ne parlava così:”un posto che quando ti entra dentro non
ti molla più”), per cui, temendo lo scoppio della guerra civile,
devono avergli consigliato qualcosa tipo:”Vasia, vedi 'n po' te... ma
se vai via vengono a farci tana e ci ammazzano tutti.”
Il Mago, a malincuore, capisce che è
meglio stare dalla parte del grano e rimane a Salonicco. Le
condizioni climatiche “lo rendono sterile”, impossibilitato a
dispensare la propria magia oltre il Mar Egeo. Sempre andando in prestito di un verso degli After:"Puoi non assaggiare, per vedere se il gusto se ne va": uguel. Giocherà la bellezza
di quindici anni all'Iraklis, dal 1975 al 1990, in quella che a
Salonicco è conosciuta come “L'era di Vasilis Hatzipanagis”. Non
vincerà praticamente niente ma si toglierà la soddisfazione di
alzare la Coppa nazionale dopo aver buttato fuori il Pana in
semifinale e sconfitto l'Olypimpiacos in finale ai calci di rigore.
Per la cronaca quella partita si conclude 2 a 2 dopo i tempi
regolamentari, 4 a 4 dopo quelli supplementari e 6 a 5 al termine dei
calci franchi. Il Mago, di tuta la conta dei gol su movimento ne
segna due: un buon bottino.
Son contento di non averla vista perché
sì, se avessi tifato Iraklis avrei eiaculato felicità per
settimane, ma lì per lì avrei perso dieci anni di vita.
Bel pupìn
Tuttavia dire che piove sul bagnato è
fare un complimento all'acqua che vien giù perché la situazione
ambientale (leggasi clima ossessivo dei regaz del Kaftansoglio) non è
l'unica cosa che dice male ad Hatzipanagis, infatti anche i trascorsi
sovietici ne vanificano ogni altra prospettiva, nella fattispecie
quella di militare nella nazionale greca.
In occasione di un'amichevole contro la
Polonia (vi ricordate dove ho scritto che vive e lavora ora il
ragazzo di Torino che ha inviato la mail? Ecco, iniziava con la “P”
e non è Papua Nuova Guinea, ma vabbè, sarà un caso pure questo)
viene convocato dalla nazionale ellenica e Vasia fa il cazo che gli
pare, canta, suona e dice le poesie: la Grecia ha trovato il suo
novello Ulisse.
Non fosse che, se ricordate quanto
scritto ormai ventimila caratteri più in alto, Hatzipanagis aveva
disputato quattro partite per la selecta giovanile della CCCP e gli
viene notificato, proprio in virtù di questo, che non avrebbe potuto
giocare altre gare con l'Hellas. Cornuto e mazziato.
Qui in un'immagine scattata nel 1999,
quando la Federazione greca gli permise di giocare per venti minuti
in un'amichevole disputata contro il Ghana, per omaggiarne il
contributo al gioco del calcio in Grecia.
CAPITOLO 4 – ALMENO UNA GIOIA
L'amico di penna scriveva che a
Salonicco tifano tutti Aris e Paok, i due altri club della città, e
sono soliti deridere l'Iraklis ma “ogni tanto capita che qualcuno
salti fuori con la frase: 'però hanno avuto il più grande di tutti'
e allora silenzio perché sanno che è vero”. Un patrimonio
incondiviso ed incondivisibile ma da proteggere a priori senza distinzione di fede calcistica o di censo, quasi fosse
stato l'ultimo dei panda, roba che se si presentasse in un bar x di
Salonicco masticando una gomma e salutando con due dita papali, tutti
s'alzerebbero in piedi per tributare il miglior calciatore greco di
sempre, quello costretto, suo malgrado, a non vedere sbocciare il
proprio talento in piazze dove avrebbero saputo capitalizzarlo al
massimo e restare nel dorato, ma scomodo, cono d'ombra dell'Iraklis.
Anche il mondo del pallone volle
rendergli omaggio, permettendogli di mostrare quella classe
cristallina oscurata dalle beghe burocratiche ed ambientali di cui
sopra. Nel 1984 venne invitato nella Grande Mela per giocare
un'amichevole a fianco di calciatori del calibro di Beckenbauer,
Kempes, Krol, Magath e Keegan in un World XI contro, e qui chiudiamo
un immenso cerchio che nemmeno sapevo di avere aperto,
nientepopodimeno che i Cosmos di New York.
Giovedì al calcetto & #wellness,
quando incontrerò il mio socio Santu, SB9, Luca, Ceppo e Simba
chiederò loro com'era dal vero "Il Mago", Vasilis Hatzipanagis.
Eppure io ho la mia teoria. Folle?
Probabilmente. Inutile? Mi piace pensare di no.
Facendo accoppiare la cosiddetta “Legge
dei grandi numeri” con il mondo dell'arte credo di poter affermare
senza timore di smentite che, a forza di dai e dai, anche il peggio
scalzacani presente sul globo terracqueo può estrarre il coniglio
dal cilindro. E produrre qualcosa di dannatamente bello. Traduzione
volgare di questa ipotesi: “Un bel colpo di culo non si nega a
nessuno”. Che la vita è democratica, eh.
DAI DIAMANTI NON NASCE NIENTE, DAL LETAME NASCONO I FIOR
Partendo dal postulato precedente, io
vi chiedo: cosa hanno in comune Luciano Ligabue e Paul McGuigan,
bassista degli Oasis?
Contro ogni pronostico parecchie cose,
ma una in maniera particolare: la loro opera migliore non ha nulla a
che fare con la musica. Infatti, nonostante tutti gli sforzi compiuti
dai due per rimanere nel limbo della mediocrità, entrambi hanno
pescato un jolly. Una matta che non permetterà loro di
purificare tutti i crimini musicali contro l'umanità perpetrati fino
ad ora, ma che almeno serve a lenire un po' lo sdegno nei loro
confronti.
Come è universalmente noto l'omino di
Correggio è riuscito nell'impresa di fare un bel film
(“Radiofreccia” ndr), mentre, e questo purtroppo non è così
risaputo, Paul McGuigan si è dato alla letteratura. Quella vera.
folgorazione
Ma se per “Radiofreccia” il calcio
è soltanto una nota di folklore per accentuare alcuni aspetti della
vita di paese, “The
greatest footballer you never saw”,
scritto a 4 mani con Paul Hewitt, è una parabola incredibile che
pone le sue fondamenta sul rettangolo verde.
NASCERE
E MORIRE AD ACTON
Siamo
ad Acton, estrema periferia ovest di Londra ed è un anonimo sabato
prenatalizio del 1990. È, a voler essere precisi, il 22 dicembre e
mentre le famigliole più o meno felici si accalcano per puntare il
centro della City in cerca dei regali dell'ultimo minuto, un uomo
solo chiude baracca e burattini e molla gli ormeggi verso l'aldilà.
Robin
Friday perde il boccino per l'ultima volta a 38 anni.
come in un libro scritto male, lui si era ucciso
per Natale
Quante
vite possono essere contenute in 38 anni? Beh, qualunque sia il
vostro conto, Robin Friday le può tranquillamente raddoppiare o
addirittura triplicare.
Nato
proprio ad Acton giovedì 27 luglio 1952, Robin fin da subito
dimostra enormi propensioni al gioco del calcio e un refrattario ed
autolesionistico odio rebelde per l'autorità.
A
12 anni entra a far parte delle giovanili del Crystal Palace, mentre
a 14 è prelevato dal Chelsea. A 16 anni, dopo averla fatta franca o
comunque aver limitato i danni e le perdite tra scippi e affari di
stupefacenti, è “acquistato” dalla più grande organizzazione
britannica: i bobbies di sua maestà lo cappellano mentre sta
cercando di intascarsi un'autoradio e gli spalancano le porte del
riformatorio.
“Bella
cazzata Friday!”, il ritornello di una vita intera. Ma
dentro le mura dell'istituto correzionale, Robin si comporta
clamorosamente bene ed entra nelle grazie del direttore che gli
permette di allenarsi, 3 volte a settimana, con le giovanili del
Reading. Ovviamente si distingue per la sua estrema capacità nel
gioco e nell'essere una profonda testa di cazzo, “Qui nessuno di
voi è alla mia altezza” amava ripetere ai compagni di squadra
prima di far rientro al riformatorio per la notte.
Scontata
la pena, Robin Friday conosce biblicamente una ragazza di colore di
nome Maxine, la mette incinta e la sposa.
“Bella
cazzata Friday!”, il solito refrain.
Ma
Robin da quell'orecchio non sente e riesce a sbarcare il lunario più
o meno decentemente lavorando come stuccatore/decoratore e
cominciando a coltivare il sogno di poter monetizzare quel fottuto
talento sul rettangolo verde grazie ad un contratto ridicolo con i
semiprofessionisti del Walthamstow Avenue Football Club. Siamo
all'inizio dell'anno del Signore 1971.
L'IBRIDO
PERFETTO: BEST + PESSOTTO
Per
10 sterle a settimana Robin delizia la bassa serie D di sua maestà
ma, a forza di prestazioni incredibili, a dicembre di quel 1971 viene
acquistato dal ben più blasonato ed ambizioso Hayes, dopo averli
sbranati da avversario con una doppietta. Stipendio triplicato e via
pedalare.
“Mi
avete preso perchè vi ho spaccato il culo” fu il suo biglietto da
visita al primo incontro con dirigenti, allenatore e nuovi compagni.
Non c'è maiale, Mr. Friday.
What the f**k are you lookin' at?
La
stagione finisce in crescendo per Robin che si prepara ad affrontare
la preparazione per la successiva con i gradi di “Best player of
the Isthmian League” appuntati al petto.
Ma
nel luglio del 1972, mentre lavorava su di un tetto a Lambeth, Robin
cade rovinosamente di sotto. Lui senza rosario in mano, però.
La
leggenda e anche wikipedia nella versione d'oltremanica, narrano che
sia caduto proprio sopra un palo che lo trapassò da parte a parte,
creandogli un secondo buco di culo ma evitando per strane e
misteriose ragioni d'opportunità gli organi vitali. Sempre stando ai
racconti dell'epoca, Mr. Friday si liberò da solo dell'ingombrante
ospite indesiderato all'interno del suo corpo e chiamò l'ambulanza
che lo portò all'ospedale.
In
ogni caso, dato che molte e discordanti sono le versioni che spiegano
il perchè della caduta, “Bella cazzata Friday!”.
giù vertiginosamente giù
Passano
quattro mesi e Robin Friday torna in campo. La partita contro il
Doncater Rovers F.C. lo vede di nuovo schierato nell'11 titolare.
Solo che c'è un problemino: al momento di entrare in campo Robin
Friday sparisce e l'Hayes è costretto a cominciare la partita con un
uomo in meno, mentre dirigenti e gente comune cominciano a cercarlo.
E
lo trovano, ubriaco come se non ci fosse un domani, appoggiato al
tavolino del pub proprio fuori dallo stadio. In una qualche maniera
riescono a riportarlo alla ragione e all'80° minuto, privo di
parastinchi e con una ghega addosso da far impallidire i capodanni in
Via degli Unni, Friday viene gettato nella mischia sul risultato
ancora inchiodato sullo 0-0.
Com'è/come
non è, quel folle di Robin Friday decide il match raccogliendo un
lancio dalle retrovie e perforando quegli avversari che fino a pochi
secondi prima lo stavano perculando alla grande.
Narra
la leggenda che a fine gara cercò di scagliarsi contro l'allenatore
dell'Hayes, il
suo allenatore,
con la consueta pacatezza, urlandogli: “Visto
stronzo!? Adesso torno a bere lá fuori. Vedi di non rompermi più i
coglioni”.
Non
c'è che dire, “Bella cazzata Friday!”.
UFFICIO
BOCCINI SMARRITI, CITOFONARE FRIDAY
Robin
rimane ad Hayes fino al gennaio 1974, quando il Reading di Charlie
Hurley decide di sfidare la sorte e di portarlo in Fourth Division. I
numeri dell'esperienza biancorossa parlano chiaro: 46 reti in 76
presenze con la ciliegina di sette espulsioni per intemperanze varie.
quando sorridi, caro mio, ti si illuminano gli occhi
I
problemi di una volta sembrano ben lungi dall'essere superati e Robin
si allena quasi da solo, poiché durante i primi allenamenti,
refrattario al concetto di 'tirare indietro la gamba' trasforma le
partitelle in vere e proprie sessioni di macelleria. Come se non
bastasse Mr.Friday si presenta da un dirigente con una richiesta
quantomeno balzana: “Conosci un posto sicuro dove acquistare roba
buona? Sai io non sono del luogo...”.
“Bella
cazzata Friday!” non c'è che dire.
da grandi poteri, derivano grandi responsabilità
Odiato
e mal sopportato per tutta la settimana, nei 90 minuti che contano
Robin Friday si fa perdonare tutto e si fa amare (anche se idolatrare
sarebbe il verbo più adatto, dato che è stato eletto calciatore del
millennio dai tifosi del Reading) con una serie infinita di
prestazioni da extraterrestre del pallone.
Non
sono solo le 4 reti in 19 partite nella seconda parte di stagione,
definite magical e glorious dall'Evening Post, ma le
prestazioni fuori bollo che lo mettono in luce per il fenomeno che
potrebbe essere. “The team that has been transformed by Robin
Friday has now scored a remarkable 16 goals in five games,"
reported the Evening
Post,
"and the highlight of this joyous afternoon was a goal by Friday
that was worth anyone's admission money on its own.”. Tradotto a
braccio significa che quando c'è Robin in campo si accendono le luci
e tutti traggono beneficio dalla sua immensa classe.
Ma
c'è poco da fare, se nasci tondo non muori quadrato.
Il
top della stagione in campo lo raggiunge dopo una rete siglata al
Plymouth, festeggiata scolandosi una birra tenuta in mano da un
tifoso. Rosso diretto e sfuriata elegante che potremmo riassumere con
un “Bevo per la sete che ho, pezzo di merda”.
Il
top della stagione fuori dal campo lo raggiunge, dopo aver ricevuto
il DASPO da due pub di Reading e dal Sindlesham Night Club per aver
inventato il ballo dell'elefante*, in una serata al Churchill's, club
tra i più malfamati della cittadina britannica, dove si presenta in
condizione di alterazione plateale imbacuccato in un lungo cappottone
e anfibi chiodati. Robin trotterella fino al centro della pista e si
toglie teatralmente il soprabito mostrando a tutti il suo eccentrico
outfit: comincia a ballare nudo nato.
Indovina
un po'? “Bella cazzata Friday!”.
*il ballo dell'elefante consisteva nell'estrarre la propria proboscide dai pantaloni e farla muovere allegramente davanti al numeroso pubblico presente sulla pista da ballo
La
stagione successiva Robin è di nuovo croce e delizia del Reading e
timbra il cartellino 18 volte portando il i bianco-blu vicino alla
promozione in terza divisione. Viene ricoverato per una crisi
polmonare durante una partita di FA Cup contro lo Swindon, rientra a
tempo di record, trova una squadra prossima alla zona calda della
classifica e la riporta fino al settimo posto finale.
Le
sue abitudini sono sempre le stesse e Robin si ritrova costretto a
cambiare casa più di una volta per l'eccessiva molestia notturna,
ma, parafrasando Virna Lisi nel famoso Carosello, con quei piedi può
dire ciò che vuole. Anche rubare le decorazioni funebri da un
cimitero per appoggiarle a fianco del presidente del Reading che
stava beatamente dormendo sul pullman.
O
come, ad esempio, festeggiare il gol vittoria contro il Rochdale
(siglato a tempo scaduto) andando a baciare sulle labbra un
poliziotto che, a suo dire, gli pareva infreddolito e triste. E
rinnegando il gesto poche ore dopo perchè “I hate cops so much!”.
Niente
di nuovo sotto al sole, “Bella cazzata Friday!”.
j'adore
Nella
stagione seguente, 1975-76, il Reading centra la promozione in Third
Division specialmente grazie alle 21 segnature messe a segno dal
matto di Acton.
Tra
queste si fa preferire l'incredibile roveca del 31 marzo 1976.
Con i bianco-blu avanti 2-0 sul Tranmere Rovers, Friday riceve un
lungo rilancio dalla sua metà campo e spostato a sinistra sul campo
da gioco e a 30 metri dalla porta avversaria, decide di piantare una rovesciata impossibile da parare.
L'arbitro,
il quasi-internazionale Clive Thomas, si complimentò con Mr.Friday “Non ho mai visto nulla di simile ragazzo, è incredibile”
che rispose “Beh dovrebbe venire a vedermi più spesso. Lo faccio
ogni settimana”.
tutto molto bello
In
seguito, dopo aver firmato con una splendida voleè di sinistro il
definitivo 2-2 contro il Cambridge United che promosse
matematicamente il Reading in Third Division, qualcosa si rompe.
Comincia
la stagione successiva tra alti e bassi, ma i rumors del mercato
vogliono parecchie squadre di prima divisione addosso a lui.
E,
com'è giusto che sia, Robin smarrisce una volta di più il
proverbiale boccino.
Il
manager del Reading, infatti, non offre un contratto all'altezza
delle aspettative di Robin che si separa burrascosamente da suo club
non prima di aver defecato nella vasca da bagno dello spogliatoio
della squadra dopo una partita persa 4-0 contro il Mansfield Town.
Mr. Friday era sicuro, dopo gli addocchiamenti di Arsenal, Crystal
Palace e Sheffield, di potersi accasare in un club di prima fascia,
oltretutto relativamente vicino a casa. E invece, tra la fine del
1976 e l'inizio del 1977, deve accontentarsi della Second Division e
del Galles, perchè sono i bluebirds di Cardiff a metterlo sotto
contratto per 28000 sterline.
Col
senno del poi, nuovamente, vien da dire “Bella cazzata Friday!”.
F**K
THIS SH*T, I'M OUT
Il
rapporto con Cardiff e con il Cardiff parte immediatamente col piede
sinistro. Quello giusto.
Robin
si presenta alla sua nuova squadra e al suo nuovo manager Andrews
accompagnato dalla polizia locale poiché beccato senza biglietto
sulla tratta Reading-Cardiff. Tratta lunga e dispendiosa ve lo posso
assicurare.
Non
sarà l'unica volta che Friday verrà beccato sprovvisto di ticket
sul treno ed ogni volta la multa viene recapitata sulla scrivania di
Andrews che, nel vano tentativo di ottenere una qualsivoglia
spiegazione, si vede recapitare un laconico “Mi avete voluto? Beh
questo è il conto”.
Come
la vogliamo mettere? “Bella cazzata Friday!”.
70's so 70's
Poi
si comincia a giocare sul serio e il primo avversario sulla strada di
Robin Friday e del Cardiff è il Fulham capitanato da Sir Bobby
Moore, il capitano dell'Inghilterra campione del Mondo 1966. Diciamo
che definirlo un'icona potrebbe suonare riduttivo e offensivo, così
Mr. Friday oltre ad abbattere i bianconeri londinesi con una
doppietta fondamentale nel 3-0 finale, si permette, come un Vinnie
Jones ante-litteram, di strizzare vigorosamente i gioielli del
capitano del Fulham e della nazionale inglese campione del mondo.
Bobby Moore che comprenderà il significato della locuzione "timore reverenziale"
Sia
come sia l'ignoranza non va mai in vacanza ed Andrews chiama
l'allenatore del Reading per bullarsi dell'acquisto appena fatto.
Sospetto che il dialogo si sia svolto così: “Ci avete regalato un
fenomeno!” “E' lì da quattro giorni, aspetta quattro mesi,
fighino!”.
Ma
ai tipi come Robin Friday mancano tutti venerdì del calendario e,
sovente, anche qualche giovedì. Scompare dai radar della società
gallese per una decina di giorni, si pensa che viva a Bristol, ma
nella capitale del trip-hop nessuno ha sue notizie. Ritorna ma i
giorni di luna storta non si contano più. Chiede, anzi sarebbe
meglio dire supplica, al Reading di riprenderselo ma mancano gli
spicci per riportarlo indietro.
Sul
campo sputa comunque l'anima e con le sue giocate riesce a far
innamorare perdutamente anche i supporter del Cardiff che lo
eleggeranno “All time cult-hero” nel 2004.
Probabilmente
perchè oltre a ricordare le sue bravate rammentano la lucida follia
di quel 16 aprile 1977. In un match fondamentale per la permanenza in
Second Division contro il Luton, il Cardiff, che viene da sette k.o.
consecutivi, deve assolutamente vincere per continuare a sperare.
Robin
Friday, quando non se la prende con se stesso, deve trovare un nemico
per rendere al meglio e la sua vittima in questa occasione diventa il
numero uno dei bianchi di Luton, l'anglo-serbo Milija Aleksic. Prima
si prendono a male parole, poi il portiere esce a valanga anticipando
Friday che, per tutta risposta, gli tira una scarpata sul grugno.
Dopo le cure al portiere e l'ammonizione comminata a Robin, il matto
di Acton si avvicina al portiere per scusarsi e Aleksic, come
probabilmente ogni essere umano sulla terra, lo manda a prendersela
in quel posto.
E
allora che ti combina Mr. Friday? Rincorre il difensore appena
servito da Aleksic dal calcio piazzato, gli ruba palla, ne semina un
altro paio (due, tre o cinque a seconda di chi narra l'episodio) e a
tu per tu con il nemico di giornata lo mette a sedere e, poco prima
di depositare il futbàl in rete, gli sorride beffardamente. Poi, per
completare l'opera, lo manda pubblicamente a fare in culo con il
classico gesto della V.
go f**k yourself, mate!
A
fine della stagione il Cardiff si salverà per differenza reti, per
un solo gol e a me piace pensare che il gol in questione sia proprio
questo, perchè gli eroi non esistono e i gli uomini non sono bravi, belli, giovani e forti
ma sono anche e soprattutto dei testa di cazzo inenarrabili con manie
di grandezza spropositate.
Curiosità:
l'immagine del fotogramma in cui Robin esegue il gestaccio ad Aleksic
è diventato la copertina del singolo del gruppo gallese Super Furry
Animals “The man don't give a f**k”, singolo ovviamente dedicato
al compianto Friday.
Super
Furry Animals – The man don't give a fuck
Quello
descritto sopra è l'ultimo gesto sportivo degno di nota della vita
di Robin Friday che all'inizio della stagione successiva, 1977-78, è
prima vittima di uno strano virus che gli aveva portato via 13 kg in
due mesi poi, nuovamente, di se stesso. Rientra ad ottobre tentando
invano di farsi diagnosticare un'epatite perchè non voleva andare da
Bristol a Cardiff troppo spesso, quindi decide di smettere (e/o viene
cacciato) il 29 ottobre 1977.
Contro
il Brighton & Hove Albion, con il Cardiff terz'ultimo in
graduatoria, non vede boccia per tutto l'incontro e decide di
prendersela fisicamente con l'arcigno mastino che gli aveva messo la
museruola e con cui aveva litigato per tutta la partita. All'ennesima
scivolata vincente di Mark Lawrenson, Robin lo prende a calci in
testa. Rosso diretto e sacrosanto e, raccontano i presenti, Robin
rientra furibondo negli spogliatoi, spacca la porta d'ingresso di
quello degli avversari e caga tutta la sua rabbia nella borsa di
Lawrenson. Letteralmente.
È
fatta Robin, adesso non ce n'è più. “Bella cazzata Friday!”.
THE
BITTER END
Come
spiegato all'inizio della nostra storia, non c'è lieto fine in
questa epopea sgangherata.
Robin
Friday torna a vivere ad Acton, torna a fare il decoratore, vive in
una casa popolare e continua a sbomballarsi il fisico e la testa con
la consueta costanza.
Lo
cerca di nuovo il Reading e il suo boss Maurice Evans, ma Robin lo
fulmina con una delle battute migliori di sempre “Quanti anni hai
Maurice? Beh io ne ho la metà dei tuoi e ho vissuto il doppio di
te”. Si racconta anche, specialmente nei pub dell'ovest di Londra,
che persino sua santità Brian Clough lo contattò durante la
ricostruzione del Nottingham Forest e Mr. Friday rifiutò. Ma qui
entriamo in un regno di fantascienza, pinte e mitologia del calcio.
Negli
anni '80 Robin trascorre un po' di tempo in prigione per aver finto
di essere un poliziotto e, poiché tutto ha una sua logica, aver confiscato un quantitativo di droga a dei ragazzi. Poi più nulla fino al 22 dicembre 1990.
Questa
è la storia del Signor Venerdì (Mr.Friday) che nacque di giovedì e
se ne andò di sabato a 38 anni.
“At
the funeral I have never seen so many people ... When we got to the
flat, the stairs and corridors leading to his mum's front door were
packed with people.” Liz Evans, second wife