IL CALCIO DEGLI ALTRI VOL. 2

Segue da IL CALCIO DEGLI ALTRI VOL. 1.


Non è stato per niente facile collegare tutto


Questa è, last but not least, la storia di Lutz Eigendorf, un uomo cui la Storia mostrò il fianco ma che all’osteria della DDR fece probabilmente i conti senza il suo terribile oste ed i suoi tirapiedi.

Gieẞen, 20 Marzo 1979. Non credo che qualcuno abbia mai sentito parlare di questa città tedesca. Io no di certo, per lo meno. Ebbene, è situata nello stato federato dell’Essen, una volta Germania Ovest, e per esigenze di prosa va precisato che la seguente vicenda ha inizio proprio lì, in un’area di sosta in prossimità di una strada che porta oltre Cortina. 

In realtà ho scoperto che Gieẞen è un'importante città universitaria

È una notte brumosa e un tassista fermo lì immagina che quello sia un buon posto per far salire qualcuno e condurlo a destino. Immagina più che bene. Perché, esattamente nell’istante in cui si meraviglia nel vedere il pullman della Dynamo Berlin stranamente ma inequivocabilmente a Occidente, parcheggiato davanti a lui, un ragazzo spalanca la portiera del suo taxi ordinandogli di portarlo via da lì. Il tassista è un tipo sveglio, non impiega molto a capire che l’uomo trafelato appena montato a bordo della sua auto, che fatica a respirare, che ha paura e continua a voltarsi indietro per accertarsi che nessuno lo abbia visto…  in realtà avrebbe dovuto salire sulla corriera della Dynamo e rientrare a Berlino Est. 
L’area di sosta di Gieẞen ha assicurato un cliente al tassista, la cui scelta di attendere qualche pendolare s’è dimostrata una buona idea. Tuttavia se la destinazione della corsa è “chiara”, il destino verso cui sta accompagnando l’ormai ex-calciatore della Dynamo Berlin non lo è altrettanto. Anzi, per Lutz Eigendorf la strada verso Kaiserslautern, perché è lì che ha chiesto d’essere condotto (o meglio, come vedremo, “RI-accompagnato”), rappresenta il più grande tuffo nel buio di tutta la sua vita; nondimeno sono sempre esistite ragioni giuste per fare cose sbagliate, e lui, quella sera, ne ha giusto un paio per decidere di litigare con il proprio passato, darsi alla fuga e diventare un rifugiato politico.

Lutz Eigendorf

Lutz Eigendorf nasce nel 1956 a Brandeburgo sulla Havel. 
Fino a quattordici anni milita per la squadra locale, la Motor Süd Brandenburg, in cui si mette in luce grazie al suo limpido talento. Gioca nel ruolo di centrocampista centrale ed è in grado di alternare ripiegamenti difensivi a fasi di cerata costruzione. Gli scout della Dynamo Berlin sentono parlare di lui, vanno sul fiume Havel con carta e penna e lo “convincono” a prendere in considerazione l’idea di trasferirsi nella Capitale. 
Circa quattro anni dopo debutta in prima squadra e nel 1978 è uno degli artefici del trionfo in campionato dei berlinesi color vinaccia. Qualcuno, date la giovane età, il ruolo da regista davanti alla difesa e l’indiscutibile stoffa da fuoriclasse, lo ribattezza “Il Beckenbauer dell’Est”. A ventidue anni scarsi viene convocato in Nazionale, la sua carriera è in ascesa e tutto sembra promettergli un futuro radioso. Si sposa con Gabrielle e ben presto Frau Eigendorf gli regala una bimba, Sandy. Ciò potrebbe apparire come una nota di colore, un promemoria da Studio Aperto, ma se questa storia fosse un film, il suo matrimonio sarebbe un dettaglio tutt’altro che insignificante. E presto se ne evinceranno i perché.

Se invece questa storia fosse una canzone sarebbe senz’altro “Today” degli Smashing Pumpkins perché il testo le si addice perfettamente, le sta bene addosso come un vestito cucito per l’occasione.

My angel wings were bruised and restrained

Il “Today” di Lutz Eigendorf si manifesta a Kaisersalutern, dopo un amichevole tra la Dynamo e "I Diavoli Rossi", terminata 4 a 1 per i padroni di casa. Il ragazzo dell’Est cova la voglia di abbandonare Berlino e lasciarsi per sempre alle spalle la Cortina di Ferro.  L’opportunità è propizia, “la situazione è eccellente”: deve solo trovare la forza di separarsi da tutto, non solo dai propri compagni e dal proprio paese, ma anche e soprattutto da moglie e figlia. 
Come recitano le lyrics di “Today”, quel giorno per Lutz è il più grande che possa mai vivere, non può aspettare un domani, quel domani che sarebbe troppo lontano, troppo evanescente. Vuole di più rispetto a quanto possa garantirgli la vita di Berlino, è quasi annoiato, forse schifato, dallo spiacevole compito di servire la squadra della Stasi, e assecondare così le manie e i capricci di Mielke, il padre-padrone della DDR e della Dynamo. 
Prima di rinnegare sé stesso, before get out, si strappa anche il cuore, tale è il bisogno di voltare pagina, di non sapere più cosa ci sia al di là del limes. Quello che non può aspettarsi, o forse sì ma è meglio non confessarselo, è che non potrà mai volare come desiderato, le sue ali saranno sempre “bruised and restrained”, qualcuno farà di tutto per ammaccarle e tenerle sotto il proprio controllo, finanche a distruggerle.

Non proprio un premier di specchiata onestà

Dopo un anno sabbatico trascorso lontano dal campo, causa il nein da parte del Regime Orientale del transfer necessario perché l’ex-calciatore della Dynamo possa riprendere a giocare per una squadra della Bundesliga, Eigendorf viene tesserato nelle fila del Kaiserslautern. 
La strada sembra diritta ma in realtà non è proprio così, anzi. Purtroppo Lutz è costretto a lasciarsi le aspettative, almeno quelle sportive, alle spalle. Non garantisce infatti quella continuità di rendimento tale perché l’allenatore lo veda e gli possa affidare le chiavi della regia dei Diavoli Rossi. Il rapporto tra Eigendorf e il K’lautern si interrompe nell’estate del 1982 quando viene ceduto all’Eintracht Braunschweig.


JÄGERBOMB

La squadra sassone non ha una storia gloriosa ma può vantarne alcune curiose. 
Innanzitutto detiene il non marginale primato di essere stata la prima società ad applicare uno sponsor sulle proprie divise di gioco. 
Dato che la sponsorizzazione sulle maglie era vietata, l’Eintracht B. con sottile giurisprudenza aveva cambiato il proprio stemma leonino con quello del cervo Hubertus, il simbolo del liquore Jägermeister. E in quel momento aveva cambiato il destino della storia delle sponsorizzazioni nel mondo del calcio. 

Che festa di merda, io non ci andrei mai in un posto in cui ti danno solo Jägermeister.
A) Morirei al quarto giro se me li dessero tutti lisci; 
B) Subirei attacchi di tachicardia fino a svenire se me li dessero con la Red Bull.

Personalmente la trovo una vicenda davvero interessante per vari motivi. 
Il veto ai brands muoveva dal fatto che, concedendo alle squadre la possibilità di esibire sulle maglie il marchio di una qualsivoglia impresa o azienda, si sarebbe alimentata un’eccessiva competitività tra i giocatori. A ben guardare e col senno di poi questo pericolo non s’è mai concretizzato né se n’è mai verificata l’ipotesi (a dire il vero io non ho nemmeno capito cosa volesse realmente dire). 
Inoltre gli sponsor sono diventati qualcosa di intrinsecamente legato alle squadre, un ulteriore simbolo identificativo. 
Da bambino pensavo che il marketing stuprasse tutta la poesia della fede calcistica; paragonavo il panorama pedatorio europeo a quello sportivo nord-americano in cui ogni franchigia poteva esibire solamente il proprio nome, novanta volte su cento deciso dai tifosi, le altre dieci scelto per acclamazione, e ritenevo che il secondo sistema fosse più genuino del primo. Col tempo ho cambiato diametralmente idea, realizzando che in fondo, forse molto in fondo, c’è una sorta di suggestione anche nello sponsor sulle divise dei giocatori. 
Chiunque abbia a cuore la Serie A saprebbe affermare, con discreta certezza, quali marchi e di cosa comparivano sulla maglia del Napoli di Maradona o su quella dei Gemelli del Gol della Sampdoria. Insomma, non è qualcosa che può essere derubricato a “di più” commerciale: è un “di più”, un accessorio, e su questo si è tutti d’accordo, ma con una relativa importanza capitale, a tratti romantica. Poi, è ovvio, se uno ha un logo di merda, puoi metterlo dove ti pare che farà schifo, però si tenga buono il primo dei due discorsi.

Immagini evocative


VI FACCIO UN FAVORE E ME NE VADO

Quando Lutz EIgendorf si trasferisce all’Eintracht B. è il 1982, e proprio in quell’anno un’icona del calcio tedesco rinuncia al proprio “marchio di fabbrica”, la barba ispida, per lanciare la sponsorizzazione di un after-shave. Il giocatore di cui parliamo, personaggio controverso e contro tendenza, è Paul Breitner, la cui carriera -e non potrebbe essere diversamente- è collegata al Braunschweig e rappresenta la seconda curiosità di cui sopra. Evidentemente esisteva un feeling particolare tra la squadra della Sassonia e l’eversivo sottobosco sinistrorso e socialista che s’annidava al limitare della Cortina di Ferro.


Che foto è? Breitner e Hoeneẞ del Bayern

Vorrei cercarla di farla il più breve possibile ma sintetizzare Breitner è un abominio. 
Infatti Der Afro, soprannome con cui era conosciuto per via della capigliatura folta e la barba incolta, ha sempre fatto parlare di sé e non solo come calciatore ma anche come intellettuale dissidente. Non ha infatti mai nascosto le sue simpatie di sinistra, posando anche con il Libretto Rosso di Mao Tse-tung, e ciò gli è valso anche un secondo soprannome: il Maoista
Come calciatore è stato uno dei più grandi interpreti del gioco nel ventesimo secolo tedesco ed uno dei più rappresentativi di tutta la storia della Nazionale. Fa parte, tanto per capirci, della ristretta e selezionatissima nicchia di calciatori ad aver segnato in più di una finale mondiale. Viene ricordato per due celebri rigori, quello della bandiera nel 1982 contro l’Italia e quello del freddo e teutonico pareggio contro i Paesi Bassi nel 1974, che spense la magia dell’Olanda del calcio totale anticipando poi il gol vittoria del folletto Muller. 

Come distruggere favole: si veda dal 1' e 46''

Tuttavia non era stato il proprio bagaglio ideologico ad impedirgli di trasferirsi a Madrid, proprio dopo il Mondiale vinto in casa; il passaggio aveva stonato a livello intellettuale perché il Real era la massima espressione calcistica della Spagna franchista, non esattamente la stessa parrocchia di Breitner. 
Tanto per fare una chiacchiera pepata da bar varrebbe la pena domandarsi se a Herr Paul interessassero più la fama e gli sghei anziché la convinzione in precise idee politiche. E poi, a voler essere maliziosi, c’è sempre una certa seduzione nell’essere alternativi, hipster ante litteram o, per dirla con Bertolt Brecht, nel sedersi dalla parte del torto quando tutti gli altri posti sono già stati occupati.

Con Kevin Keegan

Da queste poche righe risulta incomprensibile come sia stato possibile che il Maoista, non proprio il re dei coglioni, sia finito a giocare a Braunschweig dopo l’esperienza madridista. 
Ebbene, nel 1977 a Frau Breitner era venuta un’improvvisa nostalgia di crauti e stinco e aveva insistito perché il marito lasciasse la penisola iberica. Il guaio però consisteva nel fatto che Paul era socialista solo coi soldi degli altri e prima di decidere di rientrare alla base voleva essere certo che in Germania qualcuno lo riabbracciasse con moneta sonante. Tornare a Monaco non sembrava essere una buona idea, data l’accoglienza che proprio quell’anno gli avevano riservato i suoi ex-tifosi in occasione della partita di Coppa Campioni contro Il Real Madrid. Nondimeno però nessun’altra squadra aveva la capacità economica per accontentare l’eclettico calciatore cappellone. O meglio, qualcuno quella disponibilità ce l’aveva: un nemmeno troppo insospettabile Günter Mast, il proprietario dello Jägermeister, sponsor multimilionario dell’Eintracht Braunschweig.

Alcol e soldi sono sempre stati un'accoppiata immorale

In Sassonia Paul Breitner, tra Coppe e Campionato, avrebbe messo a referto quindici reti ma non sarebbe durato più di una stagione perché il suo protagonismo sarebbe stato mal sopportato dai compagni di squadra e dalla società. Se ne sarebbe andato senza troppi cerimoniali e naturalmente a modo suo:”Ich me euch jetz den Gefallen und gehe”; che in italiano suona come:”Vi faccio un favore e me ne vado”.
Confrontando le annate si desume che Eigendorf e Breitner non abbiano mai giocato insieme nell’Eintracht, ed è così. Ciò che li accomuna è solamente aver militato nella stessa squadra, cosa che, scandagliate alcune sue vicende nonché le annesse specificità, risulta comunque singolare.


LA LETTERA SCARLATTA

Eigendrof ed Eintracht Braunschweig

Torniamo a bomba nel 1982, l’anno in cui Lutz Eigendorf firma per il Braunschweig, cosa che ho già scritto duecento volte. Va detto, e per onor di cronaca e perché questa -l’avrete capito dai vari preamboli- non è una storia Disney, non è previsto un happy-ending e non è nemmeno sulla falsariga del film Miracle, va detto, ripeto, che il cosiddetto Beckenbauer dell’Est ci capisce poco nella sua nuova realtà, fatica ad imburrare il pane dalla parte giusta. Insomma, è come se subisse una sorta di maledizione di Anteo, il mitologico eroe che rimaneva senza forze una volta perso il contatto con la propria terra. 
Il fatto è che forse a Lutz non interessa poi tanto confermare la sua bravura o sfondare, non gli interessano nemmeno i soldi, quello che gli interessa maggiormente è lo stile di vita dell’occidente tedesco, in una parola: la libertà. 
Insomma, quella che prima scorreva come poesia ora sembra essersi concretizzata in prosa. A Ovest si sposa con un’altra donna, ritrova un vecchio amico (il pugile Karl-Heinz Felgner, come lui un transfuga dell’Est, almeno all’apparenza) e va pure in televisione per consigliare ai suoi colleghi orientali di trovare ingaggi in Bundesliga. Quest’ultimo è un errore capitale perché con esso firma presumibilmente la sua condanna a morte (e in senso letterale, non figurato) perché, come fosse un principio fisico, ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. A qualcuno oltre il muro il suo endorsement è suonato più come l’ulteriore tentativo di dare scacco matto al Re e quella che ora attende Lutz è la più terribile ed obliqua delle vendette.

Infatti il guaio è che per quanto Lutz creda d’essere lontano da ogni pericolo, il detto “Out of sight out of mind” non vale se le menti sono quelle, diaboliche e rancorose, degli uomini della Stasi, le stesse che lo hanno preso di mira (e dire così è un eufemismo) fin dal momento in cui l’“ex-calciatore” della Dynamo di Mielke è salito sul taxi nell’area di sosta della sperduta Gieẞen. O per lo meno questo è ciò che credono molti giornalisti che hanno indagato sull’accaduto e diversi sono i fatti che corroborerebbero questa ipotesi.
Senza fare i complottisti e immaginando che questa storia sia una sorta di sceneggiatura cinematografica, della vicenda personale di Eigendorf s’alternerebbero capitoli di quanto successo a est e a ovest del muro, quasi fosse un inestricabile parallelo di accadimenti che a tutto fanno alludere, perché dire che piove sul bagnato è fare un complimento all’acqua che vien giù.

Ebbene, ricorderete che svariate righe fa ho menzionato un dettaglio a prima vista insignificante, uno slice of life riguardante la vita privata di Lutz quando ancora era di istanza a Berlino Est, ossia la nascita della figlia Sandy, cosa che però non gli aveva impedito di scappare a Ovest. Senza risultare stucchevole mi son chiesto come un padre possa avere in animo di abbandonare la propria creatura: io faccio fatica a intenderlo, è una questione d’istinto. Lo stesso pensiero devono averlo avuto anche gli uomini della Stasi che, in un’istante di ravvedimento umano, avranno sicuramente preso in considerazione il più nobile dei sentimenti, intuendo che brutalizzandolo potevano renderlo un mezzo, un gancio per tirare e ritirare a sé qualcuno che s’era allontanato troppo velocemente da casa-base. E in più, cosa che non guastava, era tutto legale. 

Lasciate stare che sia in tedesco, guardate quando il padre rincontra il figlio che ha appena conosciuto il proprio fratellastro e la propria sorellastra

Esprimendosi con parole molto più povere, può certamente darsi che negli anni del Muro ci siano state un sacco di storie simili perché non era così insolito che certi abbandoni familiari presupponessero un inevitabile e romantico riabbraccio a occidente. Questo la Stasi lo dava per inteso, per cui era attivo un fraudolento sistema di corteggiamento di chi, uomo o donna, era rimasto a oriente; nel caso si trattasse di una “Damen”, tra gli innumerevoli agenti sotto traccia presenti nel regime poliziesco della Germania Est, ve n’era uno “dedicato”, che prendeva il nome di “Romeo”. Significava che un soggetto particolarmente avvenente e intraprendente venisse incaricato di sedurre la donna del transfuga affinché il di lei marito lo imparasse e decidesse di tornare, letteralmente, sui propri passi. A quel punto l’opera dell’agente Romeo si sarebbe potuta dire conclusa. 
A Frau Gabrielle (in) Eigendorf viene riservato questo languido trattamento ma quella che doveva essere una finta parentesi passionale si trasforma in realtà, senza che ciò interferisca nei progetti occidentali di Lutz. Anzi, uno dei vari seduttori si innamora della moglie del calciatore, la quale corrisponde l’amore chiedendo il divorzio dall’ex-marito, i due si sposano, Sandy viene adottata e la vita di Eigendorf continua a procedere lungo un binario parallelo come se nulla fosse. Addirittura, come già resocontato, anche lui convoglia in seconde nozze, per cui l’operazione “Rose” (così, stando ai documenti scoperti negli archivi, era stata nominata) va a carte quarantotto.

L’intelligence della DDR non si dà però per vinta, crede di poter cambiare l’oroscopo di Eigendorf e innesca un piano B. Ora torna buono il pugile Karl-Heinz Felgner perché da sempre vale il motto:”Dai nemici mi guardi Dio che agli amici ci penso io”. Il problema è che Lutz ci pensa poco, non ci fa caso, non ci pensa proprio, si fida dell’amico. Tra l’altro non sa né può immaginare che anche lui sia stato uno degli agenti Romeo che senza successo hanno insidiato Gabrielle.

In un certo senso c'entra e se n'evincerà il perché. 

Più che essere una storia sportiva, i tratti sono quelli di un fatto di cronaca nera, qualcosa che se fosse successo in Italia avrebbe avuto titoli rotondi sui giornali, ne avrebbe sicuramente parlato Lucarelli nelle sue rubriche noir e/o qualcuno l’avrebbe trasformata in un film. In Germania, e rimando qui, il regista Heribert Schwan ha girato il documentario Tod dem Verräter (in italiano:“Morte del traditore”). Tuttavia non sembra avere avuto, per lo meno in patria, quadri e cornici adeguati, né quell’eco che una storia del genere avrebbe -ripeto- potuto avere in Italia dove, solo a titolo di esempio, si trova parecchia letteratura in più. 

Certe cose germaniche io me le spiego sempre ipotizzando che i tedeschi abbiano seri problemi a fare pace con i loro burrascosi passati per cui ripongano tutto in soffitta e si augurino che nessuno s’addentri in un qualche polveroso e oscuro corridoio della memoria, e che al massimo l’inquirente di turno si ritrovi costretto a cercare nuvole in mezzo alla nebbia, e si rassegni presto o tardi a riconoscere che il gap tra domande insistenti e risposte inesistenti è incolmabile.
La verità è come una scopata, metà è peggio di niente.

Ciao e grazie

Facciamo però un passo indietro e torniamo a Karl-Heinz Felgner, perché a questo personaggio in cerca di autore viene affidata la missione di sorvegliare Eigendorf nel modo più subdolo possibile: deve diventargli amico e passare quante più serate possibili in sua compagnia, un po' come il personaggio che all'inizio appare nel trailer di Total Recall. In realtà l’ex-pugile dell’Est oltre a rappresentare gli occhi e le orecchie della Stasi, impersona lo strumento con cui gli spietati servizi della DDR perseguono il proprio obiettivo di rivalsa. E se c’è una verità dietro alla conclusione di questa storia, Felgner ne simboleggia la chiave.


FLASH FORWARD

Corre l’anno 2009 e siamo a Dusseldorf, Karl-Heinz Felgner viene accusato da un negoziante di avergli rubato i soldi in cassa e averlo minacciato con un coltello. Viene condannato a sei anni e sei mesi, e non ci sarebbe nulla di eccezionale in tutto questo, non fosse che in tribunale gli scappa detta una frase che fa più rumore della storia in sé. 
L’ex-pugile rivela in aula che avrebbe dovuto ammazzare Eigendorf, di aver anche accettato un contratto per farlo ma di non essere andato fino in fondo. Il fatto è che Felgner sembra avere un alibi per the night of, ossia la notte in cui il calciatore trova la morte in un incidente stradale in circostanze per nulla chiare.
Se all’inizio degli anni ’80 fosse esistito Twitter e, di conseguenza, gli hashtags, #romeo sarebbe grottescamente stato quello più adatto alla storia di Lutz Eigendorf, o comunque la parola più ricorrente. Infatti, e vado dritto al punto, è proprio con un’Alfa nera che l’ex-calciatore della DDR si schianta contro un albero il 5 Marzo 1983, nei dintorni di Braunschweig nell’alta Sassonia.


Nelle ore precedenti alla sua morte il calciatore s’era fermato a bere un paio di birre in un bar e poi s’era messo al volante. La Polizia chiude il caso per guida in stato di ebbrezza, determinando un inverosimile tasso alcolemico, specie se rapportato a quanto aveva bevuto Eigendorf. Qualcosa non torna e, stando ai documenti recuperati da Schwan, è per lui lecito credere che l’incidente, per quanto possa risultare assurdo, sia stata una messinscena volutamente tragica. Non ci sono prove inequivocabili a suffragio della tesi del giornalista ma restano diversi sospetti. Tra il materiale passato al vaglio, vi sono note che riportano le specifiche di una neurotossina (in particolare di una sostanza chimica in grado di modificare la percezione di alcune cellule nervose e alterare il senso della vista), la possibilità di orchestrare un falso incidente e la parola “abbagliare”.
Combinando gli elementi, sia Schwan che Jochen Döring (altro giornalista che ha condotto indagini sull’accaduto) ritengono probabile che EIgendorf sia stato costretto a bere qualcos’altro oltre la birra, un intruglio alcolico miscelato con la droga, gli sia stato intimato di andarsene in macchina e, in prossimità di una curva stretta, abbia incontrato una macchina con i fari spianati, probabilmente guidata da un agente della Stasi. Con la visione deteriorata dagli additivi stupefacenti, il calciatore ha perso il controllo dell’Alfa, sbandando e riportando, dopo l’impatto, gravissime ferite alla testa che non gli hanno lasciato scampo. 
Come se non bastassero queste congetture ad avvalorare l’idea di una “morte organizzata”, tra il materiale ritrovato dai due giornalisti si fa anche cenno ad una presunta ricompensa di 500 marchi occidentali che -a detta di Schwan- gli agenti coinvolti avrebbero ricevuto. 

Everything's grey, now you're here, now you're away.

È praticamente impossibile dimostrare che le cose siano veramente andate così, che si sia realmente trattato di un omicidio politico e non di un incidente. Quel che rimane è l’intreccio di storie e Storia che delineano la vita e la carriera di Eigendorf, un personaggio larger than football ma soprattutto than life (nel bene e nel male), che non aveva compreso che a quei tempi in Germania non era così facile essere cittadino di ogni cielo, e che certi rimedi potevano essere peggiori dei mali. 
Con sua buona pace, davvero, e per quanto queste vicende siano tragiche e piene di dubbi che forse non troveranno mai risposta, sono certamente degne di un documentario come quello di Schwan, qualcosa che si spinga dentro le cose, se non per giustizia almeno per far luce su questa oscura pagina che avrebbe nascosto, ancora una volta, le nefandezze della Storia dietro lo sport e, in questo caso specifico, dietro la vita e la morte di un calciatore, quello che avremmo potuto ricordare come il “Beckenbauer dell’Est”.

Fonti:
https://it.wikipedia.org/wiki/Lutz_Eigendorf
https://it.wikipedia.org/wiki/Paul_Breitner
https://it.wikipedia.org/wiki/Braunschweiger_Turn-_und_Sportverein_Eintracht_von_1895
http://www.lintellettualedissidente.it/storia/lutz-eigendorf-morte-di-un-traditore/
http://storiedicalcio.altervista.org/blog/lutz_eigendorf.html
http://www.heribert-schwan.de/werke/tod-dem-verraeter-der-lange-arm-der-stasi-und-der-fall-lutz-eigendorf/
http://www.dw.com/de/eigendorf-tod-dem-verr%C3%A4ter/a-16646636
http://quandoilbiscionemordeva.forumalfaromeo.it/forum/viewtopic.php?t=99&start=80


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