CAPITOLO 1 - ANDREA
TENTONI, IL CENTRAVANTI PIÙ FORTE D’ITALIA FINCHÈ SI GIOCA IN
CONTROPIEDE
Un sabato sera di 'so
quant'an fa stavamo andando a cena insieme ad alcuni amici,
quand'ecco che uno dei passeggeri della mia macchina attacca con un
discorso così profondo che difficilmente riuscirò mai a
dimenticare. "Ragazzi, ma voi ve lo ricordate Andrea Tentoni?"
Ora: io ho molti pensieri per la testa, spesso non sono in relazione
tra loro e difficilmente hanno un rapporto contingente con il mondo
intorno (a volte, alle lasagne piene di ragù che ho visto in
rosticceria seguono interrogativi circa la morte del bandito
Giuliano, intervallati dalla valutazione riguardo l'ultima offerta di
Groupon "Motel a Roncobilaccio –47% di sconto) ma Tentoni non
aveva mai sfiorato queste dimensioni di ragionamento.
Il viaggio fu
particolarmente lungo, perché chi dirigeva la carovana di macchine
aveva smarrito la bussola, ammesso e non concesso che ne avesse mai
avuta una. Purtroppo ciò permise al nostro eroe di avviare
un'interessante quanto surreale discussione circa la Cremonese di
Gigi Simoni, che trovava in Tentoni il suo castigamatti più genuino.
Non a caso proprio il più sfigato allenatore d'Italia (Simoni,
appunto) lo definì come "il più forte centravanti d'Italia
finché si gioca in contropiede".
Poche cose mi fanno schifo
come la maglia della Cremonese, giusto il tonno e le battute dei pugliesi
Mi concessi solo una
domanda che lì per lì ritenni più che lecita:"Ma come cazzo
t'è saltato in mente Andrea Tentoni?" E lui mi rispose con la
stessa scontatezza con cui la gente chiama il proprio cane
Black:"Oggi mi sono guardato un sacco di video sulla Cremonese
di Simoni, con tanto di highlights, interviste, commenti a caldo..."
Ebbene, individuavo gli
effetti, ma non le cause, sapevo della grande passione del mio amico
per il calcio, ma mi chiedevo se tutta quella scena si stesse
verificando veramente o me la stessi sognando. In ogni caso, quella
sera, feci a me stesso una solenne promessa. Non sarei mai diventato
come lui, non sarei mai arrivato al suo livello di calciofilia
compulsiva, non mi sarei mai ritrovato a spendere un sabato
pomeriggio scartabellando su youtube sintesi di partite di duemila
anni prima disputate da squadre impresentabili.
E invece....
CAPITOLO 2 - MAI DIRE MAI
Principali fonti di ispirazione di questo blog: Paolo Sorrentino, Pierpaolo Capovilla e Federico Buffa (almeno qualcuno che parla di sport c'è)
...invece non troppo tempo
fa, per motivi che ho completamente rimosso, e contravvenendo al mio
voto, mi sono imbattuto negli episodi salienti di un mezzo-spareggio
salvezza "Genoa-Ancona 4-4" del 1992/93 (annata di grazia:
solo per darvi un'idea di che campionato fosse allora la Serie A, vi
basti pensare che retrocedette un Brescia in cui la casacca numero 10
era indossata da un certo Gheorghe Hagi e l'allenatore era il Signor
Mircea Lucescu, sì, quello che ora allena lo Shakhtar dei miracoli,
don't you know?). Ecco, in quel rocambolesco 4 a 4 successe di tutto.
A parte gli otto gol, il menù aveva previsto diverse portate, una
più succulenta dell'altra.
In Febbre a '90 Nick
Hornby ha descritto quali siano gli elementi cruciali perché una
partita possa definirsi memorabile. Al netto della pioggia battente
con conseguenti scivolate di 18 metri senza che il difensore riesca
ad intercettare il pallone ma si sfracelli direttamente contro i
cartelloni pubblicitari, l'elenco delle gioie e dei dolori di quel
Genoa-Ancona non differisce di molto da quello dello scrittore
inglese.
- gol di vantaggio, di sorpasso, di rimonta e di controrimonta;
- pali, traverse, incroci, tutti scaturiti da confusi calci d'angolo o da tiri della disperazione;
- parate da Batman e salvataggi alla Ed Warner quando non c'aveva i coglioni girati col Mister del Giappone che lo teneva in panca;
- autogol consueti, misteriosi, cercati e involontari;
- punizioni in area piccola quando le punizioni in area piccola si verificavano una volta l'anno e comunque per ragioni che sono andate dimenticate;
- ammonizioni, espulsioni per somma di ammonizioni (immancabilmente comminate all’indimenticabile Vincenzo Torrente), espulsioni dirette;
- rigori concessi con lauta generosità e rigori negati nonostante evidenti falli di mano (J'adore);
- Lajos Detari, uno che non avrebbe trovato pace nemmeno se lo avessero mandato a zappare, ma che quella domenica s'era trasformato in un dioscuro della pelota capace di dispensare in egual misura gol, legni, parolacce ungheresi, figli illegittimi e salvataggi sulla riga;
- sforbiciate al volo, sforbiciate di controbalzo, sforbiciate di controbalzo che seguono sforbiciate al volo, rob de matt che non si è mai vista nemmeno in uno spot della Nike (etèr chè i gemelli Derrick).
Dal 2'e20'' se siete pigri.
Genoa e Ancona provarono a
rendere vero il detto "2 a 2 finché non diventano dispari"
perché l'ultimo gol, quello cui sicuramente avrete fatto più caso,
in my well payed opinion ne vale più di uno.
Cross "alla viva il
parroco" sparato in area con la flebile speranza che qualche
mago di provincia inventi 'na prodezza e trasformi una preghiera nel
gol del pareggio, ammucchiate in area di quella di una volta in cui
nessuno è al posto giusto nel momento giusto, ed eccolo lì, Felice
Centofanti "ogni riccio un capriccio" che s'improvvisa Van
Basten di giornata, rovesciando con una coordinazione di leonardiana
fattura. La sfera centra la traversa, rimbalza a terra, rallenta e
supera la posizione del'attaccante Massimo Agostini, il quale rimane
indietro rispetto alla traiettoria del pallone e non ha più il tempo
per colpirlo, se non rovesciando a sua volta (ripeto, che forse non
avete capito bene: è il gol del 4 pari).
Io non so cosa abbia
pensato il portiere in quel momento, tra l’altro Stefano Tacconi,
non proprio l’ultimo degli imbecilli: se credesse d'essere sul set
di un film di fantascienza, o nel bel mezzo di una tempesta di
sforbiciate ai limiti della patafisica, ma certo è che è trovarsi
al centro di una serie di parabole così impeccabili da risultare
assurde non deve essere il massimo della vita. Perchè sì, io mi
sforzo di capire tutto, mi sforzo di interpretare le parole di Renzo
Bossi e i miracoli di San Gennaro, ma qui siamo in un'altra
dimensione.
CAPITOLO 3 – NOME IN
CODICE CONDOR
Nella mia fase "cold
war kids", ho guardato ogni filmazzo sulla Guerra Fredda, da
quelli storici a "i bruttissimi", e uno di quelli che mi ha
colpito di più per plot e recitazione, è stato I TRE GIORNI DEL
CONDOR, cui a bocce ferme non avrei dato cinquanta lire, ma che
ricordo aver seguito con grande trasporto dall'inizio alla fine. Cosa
c'entra tutto questo con Genoa-Ancona 4 a 4? Poco e niente, solo un
pretesto per dare un titolo al capitolo.
Se l'unica immagine che troviamo di un calciatore è una figurina, vuol dire che è veramente un illustre sconosciuto. Senza naso...
Massimo Agostini, l'autore
della seconda roveja e di almeno un altro gol in quel capolavoro di
partita che fu Genoa-Ancona 4 a 4, era soprannominato proprio così:
CONDOR, data la sua straordinaria capacità predatoria negli ultimi
sedici metri.
Nel documentarmi su
Agostini scopro che ora allena una squadra chiamata RIVIERA DI
ROMAGNA. Pensando si tratti di quella che confondo essere l'EQUIPE
ROMAGNA (ossia quella sottospecie di ricettacolo degli svincolati
d'Italia) approfondisco la ricerca, convinto di trovare un qualche
illustre disgraziato che chissà da quanto tempo è lì e perché
nessuno se lo fili.
Non sono così fortunato,
o meglio, lo sono molto più di quanto io stesso creda.
Non trovo alcun giocatore
dimenticato, anzi, scopro invece che il RIVIERA DI ROMAGNA è una
squadra di calcio femminile. E fin qua, chi se n'a fotte.
Quello che però salta
all'occhio è l'abbondante descrizione che Wikipedia le riserva,
davvero inusuale per trattarsi di una compagine sportiva femminile
che non sia la Foppapedretti Bergamo o Sasha Grey, la quale, date la
quantità e la qualità di ciò che riesce (ahinoi, riusciva) a fare
contemporaneamente, va classificata come “squadra”.
Ah, come suona bene...
Ma Wikipedia è un po'
così, come la vicina di casa messa giù da gara o come la barista
che al mattino ti serve brioche e cappuccino, e alla sera gli
Americani. È in queste cose che viene fuori tutta la sua bellezza
nascosta; perché a volte, sotto link impossibili sono seppelliti
romanzi e storie che aspettano solo d'essere raccontati (Per la
cronaca io e lo scrittore Nicolò Gianelli evidenziamo ‘sta cosa da una vita e
mezzo: quando avrete finito di leggere questo articolo, leggetevi
questa voce, e convincetemi che non è il canovaccio di un libro di
sicuro successo, o un film che non può essere girato solo perché
c'è del cannibalismo di mezzo).
Beh, indago e scopro che
il RIVIERA DI ROMAGNA nasce dalla fusione tra Dinamo Ravenna e
Cervia, squadra, quest'ultima, dal passato tanto inverosimile quanto
avventuroso.
CAPITOLO 4 – IL CALCIO
AI TEMPI DI GAME OF THRONES
Siamo nel 2005/06, quindi
nemmeno troppo tempo fa ma comunque prima che sulla panchina si
sedesse il Condor, e il Cervia gioca nella serie B femminile. Ha
allestito un team formidabile che ha il solo obiettivo di risalire la
china e tornare nella serie da cui è appena retrocessa, l'A2. Il
club ravennate, per essere sicuro di stare dalla parte dei bottoni e
assicurarsi una promozione senza troppi patemi, vince tutte le
partite, e lo fa con 3 o 4 gol di scarto. Tuttavia nessuno gioca mai
con quaranta carte, e dall'altra parte dell’Appennino
Tosco-Emiliano, in quei di Firenze, c'è un'altra squadra che col
minimo sindacale, ossia un gol di differenza a festa, stabilisce gli
stessi punti del Cervia: il Rovezzano.
Bella sfiga, eh?
La partita della verità,
quella che decreta quale sarà delle due a salire, è un derby tutto
romagnolo, contro il Forlì. E non può essere altrimenti.
Il Cervia vuole fortemente
il ritorno in serie A2 e apre il fuoco sul malcapitato avversario:
finisce 8 a 1, arrivederci e grazie. Tutto ok, non fosse che in
Romagna sono convinti che l'uomo con la pistola possa battere quello
con il fucile, anche quando quest'ultimo ha già sparato tutte le
cartucce. E infatti la formazione forlivese fa ricorso sostenendo che
il Cervia negli ultimi cinque minuti ha schierato una giocatrice che
non avrebbe potuto scendere in campo perché ancora in difetto da una
squalifica da scontare. Sì, lo so, il pensiero più facile sarebbe
stato “non avrebbe potuto giocare perché era un uomo”; no,
purtroppo non è così divertente, ch'an esageràma po' menga.
Corsi, ricorsi,
controricorsi, alla fine del film i forlivesi la spuntano. Rovezzano
primo a 58 punti con poco più di 60 gol, e Cervia secondo con 56
punti e 130 gol. Avete letto bene: 130 gol, 'na robba da regorde.
La triste morale è che se
il calcio fosse una donna sarebbe bello, perfido, stronzo e porco
come Cersei Lannister.
Fondamentalmente questa è
la scena che ti fa capire che Game of Thrones non è una serie come
le altre.
Tuttavia chi la dura, la
vince, e la formazione ravennate non molla. L'anno successivo, in un
altro entusiasmante testa a testa, se la gioca con un'altra
agguerrita avversaria, la Jesina. Si risolve tutto a tre minuti dalla
fine del campionato, nel corso dell'ultima partita contro il
Castelvecchio, quando tale Chiara Tartagni, di ruolo difensore, segna
il suo primo gol in maglia gialloblu: una rete dal peso specifico
incalcolabile, che cambia colore al cavallo e regala al Cervia il
sogno della Serie A.
La possibilità di
accoppare lo zio Adolfo fa cambiare colore al cavallo
I'm thinkin
that getting
a whack at Ol' Uncle Adolf makes this horse a different color (questa
scena io l’ho rivista centomila volte)
Ora: non so voi, ma fino
ad oggi tutte le volte che ho pensato al calcio femminile ho sempre e
solo pensato alla squadra del Montale, pronunciando “montale!”
con un accento diverso e più divertente. Non ho mai creduto che
potesse dare spazio a storie così avvincenti, roba che se passasse
un regista ammerreggano ci farebbe un film.
Dio av'bendessa.
CAPITOLO 5 - COME 'NA CATAPULTA: UNA CHAMPIONS TITANICA
Ma che, stiamo all'Inghilterra?
Massimo “Il Condor”
Agostini però non c'entra 'na beneamata minchia con tutto questo,
nel senso che siede sulla panchina delle ragazze solamente da
quest'anno. Negli anni in cui il Cervia (che poi sarebbe divenuto il
RIVIERA DI ROMAGNA) s'attrezzava per i miracoli nelle cadetterie
femminili, l'ex bomber di Cesena, Ancona, Milan e Napoli era
impegnato in un'altra mirabolante impresa, ma di più ampio respiro,
sempre in Romagna anche se in un altro Stato.
Il Condor, riminese di
nascita, decide di terminare la sua carriera non molto lontano da
casa, nella libera Repubblica di San Marino, dove vince due
campionati con i bianconeri del Murata. Il suo impatto è “come 'na
catapulta”, e grazie ai suoi gol, il club del Titano riesce ad
accedere al primo turno di qualificazione dei preliminari del più
prestigioso torneo europeo: la Champions League.
L'urna mette i sammarinesi
contro i campioni finlandesi del Tampere United.
Una mattanza?
Una favola a lieto fine?
‘n attimino e ci
arriviamo.
Se questa foto fosse una canzone sarebbe Sunset Boulevard di Elio.
Prima però un breve
intermezzo.
Quello di fianco al Condor
è Pluto Aldair, che Agostini stesso aveva invitato in Romagna non
solo per la figa e i bomboloni, ma perchè un altro professionista a
sangue freddo avrebbe fatto comodo alla causa del Murata, e avrebbe
potuto cavare fuori dalle ortiche ragazzi per nulla abituati a
districarsi in competizioni così più grandi di loro.
Nonostante mi sia
imbattuto in questa storia solo recentemente, ricordo di averla
seguita a suo tempo e di essere rimasto colpito da un particolare.
Tutti a San Marino erano carichi a palettoni per questo avvenimento e
non vedevano l'ora che allo stadio di Serravalle suonasse l'inno
della Champions League. Chi di dovere s'era informato al riguardo,
che cosa dovesse fare, se attendere cd ufficiali della UEFA, se
scaricare MP3 dal mulo, se chiedere ad un pool di elettricisti di
mettere su un impianto che si sentisse fino a Riccione... La UEFA
però spiegò ai sammarinesi che per quel turno di qualificazione non
era assolutamente prevista alcuna esecuzione dell'inno. Pòrelli,
pensavano che la Champions League fosse amore, invece al primo
appuntamento nemmeno un bacino sulla guancia. #bellastronza
#attaccatialcazzoetira #zioporcone
Vabbé, il Murata si
comporta egregiamente, perdendo solamente 2 a 1 in casa e 2 a 0 in
Finlandia. Unico gol, as usual, del Condor.
E pensare che, se
venissero contati anche i turni preliminari, Agostini sarebbe stato,
con i suoi 43 anni, il giocatore più anziano ad aver giocato in
Champions League; invece, dati gli strani sistemi statistici
dell’UEFA non è così, e il record è ancora detenuto dal nostro
conterraneo Marco Ballotta.
Ma vaffanculo, va...
Ma il Murata non si
scompone, anzi, dopo aver azzardato l'acquisto di Romario e Michael
Schumacher (nessuno dei due andrà a buon fine, chissà come mai?),
che uno ci ride ma non è che la Juve compri degli attaccanti meno
ridicoli, riparte comunque alla carica, vince il campionato e torna
in Champions. Si replica di nuovo contro una squadra scandinava, ma
questa volta va decisamente peggio.
Guardate il video e
sentite il parere del telecronista sul povero Pluto Aldair, piantato
per terra come un chiodo su una bara.
CAPITOLO 6 – L’ULTIMA
IMPROBABILE PARABOLA
Ho quasi finito.
Rimaniamo a San Marino e
ributtiamoci nelle maschie mischie del calcio femminile. Sapete chi è
l'allenatore della nazionale delle ragazze del Titano?
Un altro ex calciatore,
riminese come Massimo Agostini, centravanti come lui: Andrea Tentoni,
e chi sennò?
Strana storia, la sua. Pur
essendo ora alla guida della nazionale sammarinese, quella italiana
la sfiorò, da giocatore, solo per un soffio, perché quand'era in
predicato d'essere convocato da Arrigo Sacchi nel '93, prese la
varicella, malattia che solitamente si contrae in adolescenza, e non
tornò mai più ai livelli che lo avevano portato in profumo di
maglia azzurra. Non potè più dimostrare d’essere “il più forte
centravanti d’Italia finché si gioca in contropiede”.
Ripensandoci, forse ho
fatto bene a tradire la promessa che m'ero fatto, ossia di non
diventare come il mio amico che perdeva interi pomeriggi a guardare
filmati retrodatati di sfide sfigatissime. Solo così infatti mi sono
potuto imbattere in questo intreccio di storie, nonché
leggere/scrivere di queste improbabili parabole che solo il pallone e
i suoi protagonisti, molto spesso degli illustri sconosciuti, sanno
disegnare.
Evviva la Romagna, evviva
il Sangiovese!
3 commenti:
ma sei normale?
Simoni il più sfigato degli allenatori??? Ma che calcio hai visto?
Vedi un po' te... rischia di vincere uno scudetto e glielo portano via in maniera indicibile. Se non è sfigato lui...
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