L’episodio pilota: Time is a flat circle, David
Questa storia comincia con un gol bellissimo. Uno di quei gol
che chiunque abbia calcato un campo rettangolare sogna di realizzare.
Immaginate di essere a Parigi, più precisamente al Parco dei
Principi, il 13 ottobre 1993. Lì si gioca Francia-Israele.
Servono, però, un paio di fondamentali coordinate spazio
temporali sulle quali costruire il nostro grafico cartesiano: si tratta della
penultima giornata di qualificazione al mondiale americano e ai transalpini
manca un punto per vidimare il passaporto e prenotare il volo transoceanico.
Si metta a verbale anche che gli israeliani, dal canto loro,
sono la cenerentola del girone e hanno realizzato la bellezza di due punti in sette
partite, conditi per di più dalla miseria di cinque reti.
Scende una pioggia incessante su Parigi, ma lo stadio è gremito
e impaziente di festeggiare un mondiale atteso otto anni, dopo i fasti 80’s
appena trascorsi.
L’inerzia dell’incontro, contro ogni logica e contro ogni bookmaker, vuole che dopo 20 minuti sia
Israele a portarsi in vantaggio a conclusione di una bella azione corale
conclusa dal carneade Harazi.
Les blues di Gerard Houllier non si
scompongono e prima pareggiano alla mezz’ora con una rasoiata da venticinque
metri del neo atalantino Frank Sauzée e, quasi allo scadere della prima
frazione, si portano in vantaggio con lo straordinario gol di cui sopra.
David Ginola, splendida ala di cui è stato detto e scritto praticamente tutto, raccoglie una sventagliata di Didier Deschamps un paio di metri largo a sinistra rispetto al vertice dell’area di rigore avversaria. Mette giù il pallone di petto, converge e scarica un destro a giro imparabile per qualunque portiere in attività in quell’ottobre 1993. Si badi bene che raramente precisione, potenza e teatralità si fondono in maniera così perfetta. È un gol copertina, di quelli che ai giorni nostri riempirebbero le home-page dei siti sportivi per giorni e giorni.
David Ginola, perché io valgo
Per questo, stando così le cose, all’intervallo Francia avanti 2-1 e qualificazione sostanzialmente in ghiaccio.
I francesi, senza dimenticare la spocchia e il savoir-faire che li hanno sempre contraddistinti, gigioneggiano per tutta la ripresa dimenticando colpevolmente di chiudere la partita.
Per questo motivo quando, al minuto 83, Rosenthal prova un colpo sotto ridicolo e Bernard Lama lo respinge sui piedi del neo entrato Berkovich, in pochi possono sentire cattivi presagi nell’aria umida di Parigi. Certamente non Marcel Desailly che trascina il pallone in porta con la stessa ineluttabilità con cui i massi di pietra trascinavano gli spioni sul fondo del porto del Queens ai tempi della famiglia Gambino.
Ma, onestamente, un punto bastava e un punto stava arrivando. Che problemi avrebbero mai potuto creare questi scappati di casa ad una corazzata come quella francese?
Mo’ ve spiego: 32 secondi dopo il minuto novantadue, Berkovich allarga per Levy che corre sulla fascia sinistra, si beve in allegria Desailly e Laurent Blanc e mette un pallone infido all’interno dell’area transalpina. Qui irrompe Reuven Atar che in demi-volée deposita le ballon dans au but e condanna la Francia ad attendere un altro turno in prigione prima di poter partire per gli Stati Uniti.
lo splendido goal di Ginola e i prodromi di un suicidio collettivo
E il turno decisivo si gioca il 17 novembre 1993 contro la
diretta concorrente per l’ultimo posto disponibile in quel Gruppo 6: la
Bulgaria.
È la classica partita da dentro o fuori in cui la Francia
padrona di casa ha nuovamente due risultati su tre per imbarcarsi verso il
mondiale americano.
Per l’occasione rientra “Le
God” Cantona che gioca in luogo di Ginola e realizza la rete del vantaggio
transalpino al minuto trentadue su sponda aerea di Jean Pierre Papin. Il cross
che mette in moto JPP, per onore di cronaca, è di Didier Deschamps che aveva
fatto partire l’azione con un’entrata killer non sanzionata dall’arbitro ai
danni di quel bel mago di Trifon Ivanov.
che la terra ti sia lieve Trifon
Neanche il tempo di dire “libertè,
egalitè, Beyoncè” che da un corner battuto da Balăkov, Emil Kostadinov
sbuca sul primo palo e pareggia i conti. Sono trascorsi cinque giri d’orologio.
Inutile sottolineare come la tensione torni a salire oltre il
livello di guardia e ammanti le squadre che, per certificare questo climax,
scelgono di non mandarsele a dire anche in virtù di quanto occorso nella gara
di andata disputata a Sofia, in cui i bulgari vinsero due a zero e presero
letteralmente a sputi i transalpini dopo il triplice fischio.
A venti minuti dalla fine, nell’ottica di sfruttare maggiormente
il possesso palla, Houllier manda sul campo David Ginola in luogo
dell’acciaccato Papin.
Il nostro, però, non è giocatore che ama le perdite di tempo e i cosiddetti giochini. E quest’attitudine lo porta, al quarantasettesimo secondo dopo il minuto 89, su azione da corner, a cercare un improbabile cross al centro dell’area bulgara invece di muoversi verso la bandierina e far scorrere gli ultimi secondi del match in questione. A parte che nei sedici metri bulgari c’è solo Eric Cantona, il cross risulta comunque troppo lungo ed è facile preda della retroguardia che rilancia per un’ultima azione, per l’ultimo assalto.
La palla giunge così a Ljuboslav Penev che lancia al bacio Emil Kostadinov che brucia Roche e fucila un missile terra-aria sul primo palo che bacia la traversa e si insacca.
la legge di Freddy, Andre e Santu: se qualcosa potrà andare storto, ci andrà
Ljuboslav Penev ed Emil Kostadinov sono il giudice e il boia di
quella Francia… Proprio loro che in quel novembre erano entrati in Francia
illegalmente, sprovvisti di regolari documenti, nascosti nel baule della
macchina del portiere bulgaro Borislav Mihajlov, che giocando in Francia per il
Mulhouse conosceva perfettamente i
posti di blocco più sguarniti tra Francia e Germania. Roba da film!
Così il Parco dei Principi si gela un’altra volta e non si
riprenderà per un quadriennio abbondante.
L’ultimo biglietto per i mondiali USA lo stacca, all’ultimo
respiro, la Bulgaria.
Bog e bulgarska! Dio è bulgaro!
La Francia tutta, con il c.t. Gerard Houllier a fare da
capofila, se la prende con David Ginola reo di non aver tenuto quel fottuto
pallone tra i piedi e di essere il solo responsabile del fallimento della
spedizione. Teoria, a mio modo di vedere, parecchio discutibile ma
sfortunatamente comprensibile, data la trivialità della natura umana in generale
e pallonara in particolare.
Time
is a flat circle, David.
poco da fare, la classe non è mai acqua
La vie en Blanc/Rouge A-side
nel niente sotto il sole
La Bulgaria che si presenta ai nastri di partenza di USA ’94 è
tutt’altro che una squadra di merda. Anzi. Si piazza in campo con un 4-3-3 che,
come vedremo, avrà un paio di varianti statisticamente rilevanti.
In porta c’è lo scarso crinito a fasi alterne Borislav Mihajlov,
l’uomo dal baule sempre pieno e dal miracolo facile. Difese la porta della
Bulgaria già al mondiale del 1986, mandando in menata Altobelli e compagni che
all’esordio non andarono oltre l’1-1 contro una squadra non certo
irresistibile. Davanti a lui Hubčev, Kremenliev, Cvetanov e uno degli idoli
personali di chi vi scrive: il bel Trifon Ivanov menzionato poche righe sopra.
Difensore roccioso ma dai piedi abbastanza educati, il suo colpo migliore era
la punizione dalla lunga distanza in quanto nel suo piede destro erano presenti
tracce di tritolo di poco inferiori a quelle rintracciate nel sinistro di
Rivelino. Per motivi che vi appariranno implacabili più avanti, però, furono
rarissimi i suoi calci piazzati con la maglia della nazionale.
Davanti a loro Jankov fungeva da 4 classico con ai lati le
smaliziate mezz’ali Balăkov e l’Attila Lombardo dell’est Iordan Lečkov, che
portavano in dote l’enorme esperienza accumulata giocando in Bundesliga con
Stoccarda e Amburgo.
La linea offensiva prevedeva i due giustizieri della Francia,
Penev e Kostadinov, e con la libertà di giostrare dietro di loro, o davanti, o
di fianco, insomma di fare un po’ il cazzo che gli pareva che tanto qualcosa di
pericoloso sarebbe uscito dal suo cilindro, uno dei due più grandi giocatori
bulgari all-time: Hristo Stoičkov*.
Il sollevatore bulgaro
Preferisco le impressioni. Le impressioni emozionano. È inutile conoscere: molto meglio supporre. (V.C.)
Hristo, già dal nome, rappresenta quei tipi di giocatori tanto
cari a chi scrive: talentuosi oltre ogni limite della decenza ma anche, oltre
lo stesso limite, irascibili, dissipatori di occasioni, casinisti e, in ultima
istanza, capaci realmente di qualsiasi cosa.
sul Mercedes cabinato è arrivato il Marajà
Hristo che saltò il mondiale del 1986, già allora era il
migliore della nazione con un paio di giri di pista sul secondo, perché nella
finale di ritorno della Coppa di Bulgaria nel 1985 tra il suo CSKA e il Levski
Sofia - dopo il 4-0 dell’andata - entrò in campo indossando, con chiari intenti
provocatori, il numero 4. E che non ancora soddisfatto prese parte attiva alla
rissa finale che costrinse il governo bulgaro, non avete letto male IL GOVERNO
BULGARO, a sciogliere le due squadre e a sospendere i giocatori coinvolti nella
rissa a tempo indeterminato.
Hristo che fece innamorare Johann Crujiff, che se lo fece
comprare immediatamente dopo la doppia semifinale di Coppa delle Coppe -
stagione 88-89 - che vide il Barcellona eliminare il CSKA. Doppio confronto in
cui Stoičkov segna tre reti e fa ammattire i catalani.
Hristo che, per ripagarlo di cotanta fiducia, nel dicembre del
1990 durante la finale di andata della Supercoppa di Lega contro il Real Madrid reagì
all’espulsione del suo mentore in panchina rifilando un pestone all’arbitro,
chiaramente reo di peccato di lesa maestà.
Hristo che, si narra, facesse incetta di “regalini” direttamente
dagli effetti personali dei suoi compagni di spogliatoio, Hristo il cattivo,
Hristo parte integrante e fondamentale del maledetto “Dream Team” blaugrana che
vincerà tutto a inizio anni ’90, Hristo che ovunque è stato, tranne Parma
forse, è rimasto nel cuore della gente.
Hristo numero 1 a pari merito nella storia del calcio bulgaro.
Ecco, come dire, a manovrare la Bulgaria, in campo e fuori, c’è
lui. E scusate se è poco.
La vie en Blanc/Rouge B-side
Il sorteggione clamoroso pre-mondiale mette la Bulgaria in un
girone di difficile lettura con Argentina, Nigeria e Grecia. Se i greci
sembrano l’ineluttabile squadra materasso, si conosce poco delle Super-Aquile
nigeriane che suscitano un giusto mix di curiosità e aspettative. L’Argentina,
invece, ha guadagnato il pass per i mondiali in un drammatico spareggio con
l’Australia, ma soprattutto ha recuperato D10S, Diego Armando Maradona. Motivo
per cui la squadra è illeggibile per definizione.
Inoltre, quando è il momento di diramare la lista dei convocati,
il c.t. Dimitar Penev non include nella lista il 9 titolare, ovvero suo nipote
Ljuboslav. Colui che aveva servito a Emil Kostadinov il pallone che ha fisicamente
portato la Bulgaria ai mondiali. Mistero risolto alla svelta: un tumore ai
testicoli, poi superato, non permise a Penev di misurarsi con il mondiale
americano. Così, al suo posto, trova spazio l’eterno Sirakov che nel mondiale
del 1986 aveva dato seguito ai miracoli di Mihajlov contro l’Italia pareggiando
a 5 minuti dalla fine una partita che la Bulgaria avrebbe dovuto ampiamente
perdere. Ma il calcio è così, il calcio è strano Beppe.
Si parte il 21 giugno 1994 dal Cotton Bowl di Dallas contro la Nigeria e l’impatto bulgaro sul
mondiale è peggio di un pelo pubico nel brodo dei tortellini: in 55 minuti le
Super-Aquile banchettano avidamente sugli avversari e li seppelliscono con un
3-0 perfino stretto. Se il buongiorno si vede dal mattino, siamo rovinati.
Fortunatamente per la Bulgaria, per gli amanti del calcio e del
calcio dell’est in particolare, così non sarà e il secondo match del girone
disputato al Soldier Field di Chicago
contro la Grecia segna un pronto riscatto. 4-0 per i rossi di Penev con
doppietta di rigore di Hristo, gol dell’uomo ovunque Lečkov e sigillo in pieno
recupero del neo entrato Borimirov.
Il discorso qualificazione, vista anche la vittoria
dell’Argentina sulla Nigeria, si decide all’ultima giornata.
Intermezzo fuorisma: Ancora lui! Ancora D10S!
Diego Armando Maradona è rientrato, con vicissitudini varie ed
eventuali che parton dal pratino e vanno fino al cielo, nel giro del calcio che
conta e, ça va sans dire, della
nazionale. La sua sola presenza permette ad un gruppo di notevoli individualità
– Redondo, Balbo, Batistuta, Caniggia, Simeone – di ritrovare una fiducia nei
propri mezzi che sembrava persa nell’umiliante sconfitta interna, 0-5, contro
la Colombia di Maturana che costrinse l’Argentina allo spareggio per il mondiale
di cui accennato prima.
Ed infatti nella prima partita contro la Grecia, vinta 4-0,
Maradona timbra l’ultima rete andando ad esultare come un invasato davanti alle
telecamere come a dire “Non vi libererete mai di me” o, più prosaicamente,
“Cazzo che botta!”.
meglio un giorno da Maradona che una vita da Pelè
Nella seconda partita guida la sapiente rimonta contro la
Nigeria mandando in rete Caniggia, per il gol del definitivo 2-1, con una
punizione battuta d’astuzia.
Poco da fare, con D10S in campo l’albiceleste fa paura.
Solo che il controllo antidoping post-Grecia regala l’ennesimo
colpo di scena: Maradona positivo all’efedrina. Ora io non voglio entrare nel
merito e nell’opportunità di tutto quanto (che è una questione puzzolente come
un cadavere al sole da tre settimane), ma riporto il fatto che Maradona fu
spedito via dal mondiale senza troppe cerimonie, dopo che TUTTO gli venne
permesso per esserci.
E la ricaduta per l’Argentina fu inevitabilmente enorme.
La vie en Blanc/Rouge C-SIDE
È chiaro che gli argentini siano ancora sotto shock, ma il 30
giugno 1994 al Cotton Bowl di Dallas,
la lezione che viene impartita dalla Bulgaria mette nell’orecchio la pulce che,
anche se Maradona avesse preso parte all'incontro, ci sarebbe stato poco da
fare.
Dopo un primo tempo all’insegna del nervosismo e della tattica,
nella ripresa i tre avanti bulgari, ben supportati da Lečkov e Balăkov mettono
a ferro e fuoco la retroguardia sudamericana. E prima Hristo, al minuto 55, su
perfetto suggerimento di Emil Kostadinov e, al tramonto del match, l’esperto
Sirakov chiudono i conti e qualificano la Bulgaria in seconda posizione in
virtù dell’incontro appena vinto.
Negli ottavi di finale, giocati nella canicola del pomeriggio
del Giants Stadium di New York, la
Bulgaria si trovò ad affrontare lo scorbutico Messico e tutte e due le squadre
si trovarono ad affrontare l’inadeguatezza dell’arbitro siriano Jamal Al
Sharif. Senza Ivanov, Jankov e Cvetanov squalificati, Stoičkov prende per mano
la squadra e realizza il gol dell’uno a zero dopo sei minuti a conclusione di
un contropiede spietato. Poi, al diciottesimo, entra in scena il refree che fischia un rigore illogico
per il Messico che Garcia Aspe realizza, riequilibrando il tutto. Non contento
di aver fischiato a vanvera nei primi 45 minuti, lo scienziato siriano espelle
a caso Kremenliev al 50esimo e dopo 5 minuti, divorato dal senso di colpa,
indica l’uscio anche a Luis Garcia, il più talentuoso dei messicani. Da lì in
poi le compagini, dilaniate dal caldo newyorkese, decidono di andarsela a
giocare di buon grado dagli 11 metri.
Jorge Campos: piano, piano. sottovoce. come piace a noi.
Avrebbe dovuto essere la giornata di quel fenomeno da circo che
è stato Jorge Campos, soldo di cacio che difese la porta del Messico e che fece
del gusto nel disegnare (e far cucire alla mamma) i propri capi d’abbigliamento
il suo punto di forza, ed invece è la giornata di Mihajlov che neutralizza tre
rigori e spedisce la Bulgaria ai quarti di finale.
Uno degli aforismi più abusati nel mondo del calcio è attribuito
a Gary Lineker e recita il consueto “Il calcio è uno sport semplice, si gioca
in 11 contro 11 e alla fine vincono i tedeschi”. Ma i ragazzi di Penev o non
capivano l’inglese o se ne strafottevano altamente di quello che ebbe a
dichiarare una vecchia gloria come il buon Gary.
Perché il quarto di finale Germania-Bulgaria è una sinfonia
magistrale. I tedeschi soffrono per tutto il primo tempo e solo un Illgner in
versione deluxe su Stoičkov e Lečkov
e il palo che ferma Borimirov fanno in modo che il punteggio rimanga in
equilibrio.
In avvio di ripresa un’ingenuità dello stesso Lečkov regala un rigore alla Germania che Lothar Matthäus realizza con teutonica freddezza.
La Bulgaria barcolla, Andy Möller centra un palo poi, al minuto 74 Hristo Stoičkov si guadagna un calcio di punizione a ridosso dell’area tedesca. Sistema la sfera con cura, attende il fischio dell’arbitro e… Palla sopra la barriera e 1-1!
L’iniezione di fiducia è tale che la Bulgaria si getta sui resti della Germania e, dopo tre minuti, Iordan Lečkov converte in rete di testa uno splendido cross di Kirjakov.
o anche del far passare un cammello per la cruna di un ago
I ragazzi che dovevano guardarsi il mondiale in Tv sono tra le
prime quattro.
Ora si può ben dire: Bog e bulgarska! Dio è bulgaro!
un omaggio dal tubo: amici, servizi segreti bulgari, non sparate più al Papa.
E lasciamo stare che in semifinale si siano scontrati con
Roberto Baggio e che, da buoni zingari, abbiano valutato la finalina per il
terzo posto più inutile di una banconota del Monopoli. Questa Bulgaria è stata
in assoluto la squadra più bella e inaspettata di un mondiale strano, caldo e
con un fuso orario che ha costretto a giocare ad orari assurdi.
È stata definita da più parti la “golden generation” bulgara e
su questo sono parzialmente d’accordo. Io credo che in un contesto come quello
sia emerso una volta di più l’importanza di avere uno scudo, uno schermo, uno
spauracchio da mostrare in faccia agli avversari nei momenti di debolezza e in
quelli di massima forza.
"non è che poi salta e ci sporchiamo tutti?"
Questo è stato Hristo Stoičkov per quella Bulgaria: il cuore
pulsante e il barometro della squadra. Capocannoniere del mondiale e Pallone
d’oro grazie alle prestazioni americane, vien da pensare che, almeno per un
mese, Dio sia davvero stato bulgaro.
*Gli eroi son tutti giovani e belli – Georgi Asparuhov
Apro brevemente una parentesi per parlare di chi, insieme a
Hristo Stoičkov, ha fatto sognare la Bulgaria del pallone.
Per farlo, però, devo necessariamente tornare indietro al 30
giugno del 1971.
In un’anonima strada che portava verso Vraca, località balneare posta nel nord-ovest della Bulgaria, una vettura con a bordo tre persone si schianta contro un tir e prende fuoco. Per i tre non c’è scampo: game over. A bordo, insieme ad un compagno di squadra e ad un autostoppista, perdeva la vita a 28 anni il primo calciatore in grado di far inorgoglire il popolo bulgaro con le sue giocate.
"dalla qua. mettila in banca sta palla"
Georgi Ashparuhov era stato il primo marcatore bulgaro nella storia dei mondiali (Cile 1962: Ungheria-Bulgaria-6-1) ma soprattutto aveva segnato il gol dell’1-1 a Wembley imponendo il pareggio agli inglesi neo campioni del mondo. Un gol di importanza capitale, specie per quei tempi, che lo consacrò definitivamente. Segnare a Wembley, nel tempio del football, contro i maestri inglesi, la rete del pareggio per una piccola realtà come quella bulgara: what else?
In patria, in ogni caso, era già considerato alla stregua di un semidio per via dei suoi trionfi con il Levski Sofia, campionati e coppe a strafottere, mentre in Europa era già finito sul taccuino di Eusebio, tre reti tra andata e ritorno che fecero tremare il Benfica in Coppa dei Campioni, e di Nereo Rocco che, folgorato durante la Coppa delle Coppe 1968-69, ebbe a definirlo “il centravanti dei miei sogni, ciò”.
Gli amici di penna del blog Lacrime di Borghetti, da cui mi sono lautamente abbeverato per reperire informazioni su Georgi, lo ricordano come il “Grande Poeta Bulgaro” e io mi associo.
Certo che nella fantasia gli eroi son tutti giovani e belli, ma prima di essere giovani e belli bisogna essere eroi e se, a distanza di cinquant’anni, un popolo così pieno di vicissitudini ancora ti ricorda con entusiasmo… Beh allora forse un po’ eroe lo sei stato.
In the
end, he was just comin’ back home
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