CAPITOLO 1 – UNA FINTA A MILANO MARITTIMA
Non
è come credete.
Nel
senso che sì, questa storia parte dalla Romagna, ma non riguarda né
la Romagna né il tipo di danza in oggetto.
Ma
andiamo con ordine.
È
l'estate del 2000 e sono in vacanza a Milano Marittima con una
combriccola omogenea tanto quanto i musicanti di Brema. Compagni del
Liceo (tutti simpatici tranne Federico F.), amici dei suddetti
compagni (simpatici come la faccia di Biscardi, cit), e personaggi
estratti direttamente dal bussolotto dei casi umani (simpatici sì,
se però per “simpatico” intendete che vi fa ridere scoprire
direttamente da uno di questi che la vostra morosa del tempo vi mette
le corna, e ve le mette con lui, che però non ha collegato chi
siete, e parla di lei come se fosse sempre stata 'na puttana: e come
dargli torto!).
Quello in alto è Federico F.
Siamo
in questo appartamento a MiMa (come andrebbe di moda dire ora) e
qualcuno, che Dio lo benedica, ha comprato il Guerin Sportivo.
Comodamente adagiato sulla tazza del cesso e in procinto di sparare
da retro, lo sfoglio finché non mi imbatto in un meraviglioso
articolo riguardo al Pelè di Uruguay-Brasile del Mondiale del 1970,
quello della finta più bella e inutile della storia del calcio: il
Pelé del “no-gol” come viene definito nel video che posto qui
sotto.
A
Messico '70 di quattro squadre che si presentano alle semifinali, tre
di queste sono bicampioni del Mondo: Italia, Brasile e Uruguay. Se
una di queste vince il campionato, può dirsi padrona della Coppa
Rimet, in quanto al tempo è previsto che tale appannaggio debba
spettare alla Nazionale in grado di vincerla per tre volte anche non
consecutive.
Una
delle due semifinali è la partita passata alla storia come El
Partido del Siglo, vale a dire italiagermaniaquattroatre; mentre
l'altra è Brasile-Uruguay, match dal risultato tanto rotondo (3 a 1,
ndr) quanto bugiardo.
Ma
in questa puntata degli 11 Illustri Sconosciuti non si parla né
della partita del secolo, né della Nazionale più forte di tutti i
tempi (quella verdeoro di Carlos Alberto, Pelé e Rivelino, ormai
ospite fisso delle nostre colonne), né della finale persa malamente
dagli azzurri arrivati stremati alla conclusione, e né, in ultimo,
della “definitiva” assegnazione della Coppa Rimet al Brasile tre
volte Campione del Mondo. Oggi, per dirla con Brunello Robertetti,
spareremo una serie di stronzate clamorose ma lo faremo come piace a noi, sottovoce, e daremo un'occhiata
all'altra metà del cielo di quella memorabile finta.
Intanto
però torniamo a Milano Marittima.
Nel
leggere l’articolo del Guerino, scritto benissimo e avvincente
tanto quanto la storia che il tizio che si ingommava la mia morosa mi
aveva da poco raccontato, non faccio fatica, pur non avendo mai visto
l'azione descritta, a costruirmi una sequenza verosimile di immagini
degli eventi.
Il
pallone che arriva da una parte, Pelé che, giungendo da quella
opposta, va ad incrociarne la traiettoria e portiere che si fa sotto
pronto “alla pugna”. Il dieci brasiliano maramaldeggia e, con una
finta geniale come solo le cose più semplici possono essere, lascia
correre il pallone ingannando bellamente l'estremo difensore che non
solo rimane abbindolato ma fa pure la figura di quello nato nella
stanza dei salami.
Tempo
fa ho letto una frase che diceva pressapoco così:”...che uno il
cuore oltre l'ostacolo ce lo butterebbe pure. Il problema è andare a
riprenderselo dopo”.
Caso
questo che però non s'addice al nostro, infatti, dopo una brusca
sterzata, o Rei lo va a ripigliare (il pallone, non il cuore) e con
la precisione balistica dell'uomo che conosce anche il più sordido
dei biliardi scocca
sul
montante più lontano, perché sì, bisogna considerare anche questo.
Pelé non si accontenta di piazzarla facilmente sul primo palo perché
paradossalmente la soluzione più facile è quella più rischiosa, e
questo proprio perché in quell'istante sta rientrando un difensore
della Celeste che ha tutta l'intenzione di chiudere la casella della
tombola prima che la pelota finisca in rete, con tanto di hashtags da
riportare subito dopo su twitter:
#hairottoilcazzo #anchebasta
#fanculotueilbrasile #anchetuconoscisergio?
Tuttavia
il pallone fa i baffi al palo ed esce di un niente, e il Dio del
calcio si mette le mani nei capelli, totalmente incredulo, quasi
pensi di avere un credito da riscuotere nei confronti degli altri
dei, antichi e nuovi, veri o finti. Ma
come? Perché avete impedito che quel pallone entrasse? Quel pallone
aveva e avrebbe avuto una storia gloriosa, e voi gli avete negato il
lieto fine, così, per puro dispetto.
CAPITOLO
2 – IL PALLONE NON ENTRA MAI PER CASO
Facciamo
un salto in avanti e ritorniamo al futuro, ai giorni nostri.
Non
avendo ancora imparato ad usare il digitale terrestre, sono a
conoscenza della frequenza di pochissimi canali ed uno di questi è
un'emittente locale, densamente spopolata di felicità e
sovrappopolata di sedicenti giornalisti sportivi che purtroppo però
non brillano per fantasia, ritmo o grammatica, e chiunque riesca a
guardare un loro programma dall'inizio alla fine merita, per me,
qualche migliaio di euro da spendere in birre, una vacanza premio in
Birmania con Federico Buffa, una squadra di troie del Pippi's,
insomma scegliete voi, ma ne va riconosciuto l'elevato spirito di
sacrificio.
Questo
luminare del foro e del football, nell'analizzare i mali del calcio
italiano, individuava una possibile ricetta di guarigione in un libro
intitolato, per l'appunto, “Il pallone non entra mai per caso”.
Questo
titolo sta a significare non tanto che chi vince abbia sempre
ragione, ma che esistono mille ragioni per cui entri il pallone della
squadra che vince e non di quella che perde. E queste ragioni sono:
stadio pieno, introiti annessi e connessi, vivaio ricco di talenti,
campagne acquisti mirate, sponsorizzazioni azzeccate, programmazioni
finanziarie solide, ecc... Insomma, non "un fortuito
susseguirsi d'eventi", per dirla alla King Schultz in Django ma
l'evoluzione riuscita di virtuosi “piani un po' più che
quinquiennali e un po' più che di merda”
Exempli
gratia: Borussia Dortmund, Barcellona, Manchester United, Bayern
Monaco.
Io
però ho smesso di ascoltare questo signore nel momento stesso in cui
ha detto:”Il pallone non entra mai per caso” perché, oltre a
trovarmi completamente d'accordo, ha spedito il mio pensiero anni
luce da lui, dal suo libro e dai sedicenti giornalisti sportivi
modenesi, riportandomi nuovamente indietro nel tempo e nello spazio,
e collocandomi idealmente sulla traiettoria di quel pallone che Pelè
aveva appena calciato, quasi io fossi un Alberto Angela qualsiasi a
spasso per le rovine di una qualche città dell'antichità.
CAPITOLO
3 - IL CONCETTO DI SCHADENFREUDE
Prima
però introduciamo il concetto di Schadenfreude, andando direttamente
in prestito da Wikipedia.
Schadenfreude
è
un termine tedesco
che significa "piacere provocato dalla sfortuna"
(altrui).[...] deriva da Schaden
(danno) e Freude
(gioia). In tedesco il termine ha sempre una connotazione negativa.
Non
ricordo assolutamente come io mi sia imbattuto in questo vocabolo ma
so d'esserne rimasto colpito perché non ha omologhi in altre lingue
(in Gran Bretagna è considerata loanword, ossia prestito
linguistico), e se conoscete un minimo la storia più o meno recente
della Germania, converrete che non possa che essere una parola
esclusivamente tedesca (il bene alemanno a danno del resto del mondo
è Storia, quella con la S maiuscola, non solo una mia opinione).
In
Italiano, come anticipato, non esiste niente di simile se non: Suca!
Tié! o Godo!
Tecnicamente
era Schadenfreude anche l'atteggiamento ostentato dal ragazzo che a
Milano Marittima mi raccontava con dovizia di dettagli il galeotto
amor che insieme alla mia ex-morosa aveva consumato a mio danno.
Bene,
ci siete? Alles klar? Se sì, vi beccate un video.
La
Schadenfreude si pone esattamente tra Pelè e il portiere
Mazurkiewicz, che è un po' come dire che si pone tra la finta e il
Mazurka; era infatti così che l'estremo difensore uruguagio veniva
da taluni soprannominato dalle sue parti (altro nickname era
Chiquito, ma in questa sbabbelata non ci stava).
Immagino
che ora il titolo del post vi sia più chiaro. Comunque: la gioia del
primo (Freude) in cambio del danno del secondo (Schaden).
Ma,
in questo caso, who's who?
Chi
è chi?
E
chi fa cosa?
Mazurkiewicz
in questo frangente rappresenta -meglio di chiunque altro-
l'insopportabile solitudine dei numeri primi, l'inesorabile destino
che il numero uno si trova ad affrontare quando il dieci di turno
decide di buggerarlo.
E
infatti in prima battuta la Schadenfreude è tutta a sua sfavore.
Pelé
si presenta davanti a lui con la joie de vivre di Mauro Repetto prima
maniera e, dando per scontato che ogni portiere debba far credito ai
profeti del pallone (e in particolar modo a lui), fa tutto secondo i
crismi dei manuali del calcio che lui stesso sta dettando agli
ammanuensi del tempo.
Improvvisamente
però il concetto di Schadenfreude si ribalta e volta la carta,
schierandosi dalla parte del Signor Mazurka.
CAPITOLO
4 – LA MAZURKA DI GUADALAJARA
Com'era?
Il
pallone non entra mai per caso? Credo che per uno strano principio
fisico di cui non ricordo l'esatta definizione o che forse proprio
non esiste, deve essere vero anche il contrario, ossia che "il
pallone non ESCE mai per caso".
Si
potrebbe attribuire ogni merito alla fortuna del portero (che
comunque, da quel che so io, la fortuna non è mai una colpa), oppure
provare a capire per quale strano allineamento di pianeti, nella
semifinale di Guadalajara, la situazione abbia detto bene a
Mazurkiewicz e male a Pelè.
Se
ricordate, qualche riga sopra ho scritto del risultato truffaldino di
questo incontro: true story.
Un
passo indietro allora!
Ladislao
Mazurkiewicz Iglesias, “El arquero negro”, è stato il
corrispettivo sudamericano di un altro ragno nero, ma di terre molto
più fredde e dell'altro emisfero: il sovietico Lev Yashin, cui è
legato a doppio filo.
Al
di là di una strepitosa carriera in patria, in Sud America e in
Spagna, Mazurka è stato considerato uno dei tre migliori portieri al
mondo per almeno 8 anni, che in linea di tempo equivalgono ai
Campionati Mondiali da lui disputati: Inghilterra '66, Messico '70 e
Germania '74.
Per
due volte nominato terzo miglior portiere del torneo (cedendo il
passo solo a gente del calibro di Yashin, Banks, Maier e Tomaszewki,
quest'ultimo "polacco" come lui, ma polacco per davvero),
fu proprio a Messico '70 che primeggiò. Questo titolo non fu certo
per la finta andata a mal fine, ma fu per la considerevole mole di
parate decisive che permisero all'Uruguay di arrivare fino alla
semifinale con il Brasile.
In
Sud America hanno una parola per definire chi non è un cliente
facile da avere davanti, chi non si vorrebbe mai incontrare sulla
propria strada perché, di riffa o di raffa, l'avrà vinta lui. Si
dice che ha "la garra", che in Italiano viene
impropriamente tradotto come (e mutuato) in "grinta" dai
giornalisti di Sport Italia, ma che in realtà significa "artiglio".
E
Mazurkiewicz, di "garra", ne aveva da vendere, perché era
ben difficile che un pallone o un avversario non finissero tra le sue
grinfie nere e quando, come in questo caso, non gli riusciva di
artigliare né il primo né il secondo, qualcosa spingeva la pelota
fuori dai pali.
CAPITOLO
5 - MARYLOU, TUTTI I MARINAI GRIDANO I LOVE YOU
Le
sue grinfie erano nere, ho detto, esattamente come quelle di Yashin,
il portiere che ho precedentemente scritto essere legato a doppio
filo con Mazurka. Un cordone era quello del colore della maglia,
nero, mentre l'altro, più sentimentale, è dovuto al fatto che in
occasione della propria partita d'addio al calcio giocato, Yashin
designò come suo erede proprio Mazurkiewicz.
Nell'articolo
che lessi a Milano Marittima quell'estate, non c'era nulla al
riguardo del portiere uruguagio, non so nemmeno se ne menzionasse il
nome; l'altra metà del cielo di quell'incredibile finta non aveva
alcun peso specifico nell'economia della storia.
Io
so solo di non essermene mai dimenticato, e mi son sempre
ripromesso di tornarci sopra.
La recente morte di Mazurkiewicz mi ha dato un ottimo pretesto per farlo e per rendergli omaggio. Sono
contento di aver scritto di lui sulle colonne degli 11 Illustri Sconosciuti: è il suo posto.
PS.La
parte della morosa è verissima ma, fortunatamente, non era la mia ma
quella di un amico. Io ho solo preso in prestito la sua storia.
2 commenti:
È la prima volta che passo di qua, volevo farti tanti complimenti perché ti ho trovato fortissimo :)
Grazie, siamo in due e siamo spesso qua. Seguici!
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