TRA CALCIO E GUERRA FREDDA

Questa è un fola che viene da un tempo che sembra antico, ma che tanto antico poi non è.  
Giusto per intenderci: c'erano ancora le “mèla frànc” (e ne va: il malefico ed invincibile marco tedesco), i palloni di cuoio legati con lo spago, la Democrazia Cristiana, e la più subdola di tutte le battaglie mai combattute: la Guerra Fredda, quella che a scuola non fanno mai studiare e che tutti hanno imparato MALE dai film americani, dove i russi sono poveri sprovveduti bariaghi-zucchi di Vodka, circa un milione di missili nucleari è puntato su ogni possibile sito strategico nemico, e alla fine vincono gli X-Men (oppure un qualche ragazzino capo dei nerz, a seconda del regista).  

In ogni caso questo blog parla di calcio per cui non m'attarderò a disquisire dell'ignoranza statunitense nella materia storica, con la quale hanno da sempre avuto un rapporto infausto, avendoci probabilmente questionato da bambini, non so, di sicuro il fatto che non abbiano avuto  uno ieri, li ha inevitabilmente resi impreparati sull'oggi e sul domani, specie se le locations erano in terra europea, mediorientale o asiatica (in pratica, se erano fuori dai loro paralleli e meridiani di competenza).  

C'è chi dice che il calcio goda di una popolarità mediatica ingiusta.  
È sicuramente così. Però ogni tanto si sdebita con chi lo ha reso così celebre senza che ne avesse mai avuto veramente onore, saldando il passivo con una favola, se non bella almeno interessante. 
Questa è la storia di Jürgen Sparwasser.  


 Tutti, me compreso, abbiam sempre sentito parlare di illustri conosciuti tedeschi quali Fritz Walter, die Kaiser Franz Beckenbauer, il Maoista Paul Breitner, il bombarolo Gerd Muller, Sepp Mayer... tutta gente, fatta eccezione per il cappellone baffuto (che di ariano non aveva nulla), che avrebbe fatto la sua porca figura anche ai tempi del De Bello Germanico, primo e secondo episodio. Con l'avanzare delle epoche calcistiche sono venuti avanti i Rumenigge, i Matthäus, i Kahn, fino ad arrivare ai crucco-kebabbari Özil e Khedira dei giorni nostri.
Poche volte però, se ci fate caso, abbiam sentito parlare dell'altra faccia della Germania, se non per motivi politici o per i film di merda di cui facevo menzione qualche riga sopra.  
Germania Est ha sempre voluto dire Trabant, Giovanni Lindo Ferretti, Muro di Berlino, Alexander Platz, Piani quinquennali di stabilità, Giovanni Lindo Ferretti, Stasi, Cortina di Ferro, Berlino Est e qualche volta anche Giovanni Lindo Ferretti. Da nessuna parte si è mai sentito parlare del calcio della Germania Orientale se non con Mathias Sammer quando rubò il pallone d'oro a Baresi e/o Maldini.

Da bambino credevo che la DDR fossero i buoni e la BDR i cattivi.  Incuriosito dalle sigle, chiedevo sempre a mio padre per cosa stessero le lettere e, nel momento in cui sentivo dire la parola “democratica”, associavo a questa: sole, bel tempo, governi illuminati, benessere, ecc.. mentre, quando sentivo “federale”, per uno sbagliato senso di contrarietà covavo un sentimento di diffidenza, di paura. Col passare degli anni, per fortuna, ho cambiato idea o, per meglio dire, ho invertito le associazioni di concetto e sto molto, molto meglio.  

Germania Ovest e Germania Est giocarono un derby: uno e uno solo. 
Sorellastre contro: un inedito destinato a restare unico.  
Era il mondiale del 1974, e lo avrebbero vinto Beckenbauer e compagni spuntandola, con teutonica efficienza e micidiale costanza, sull'Olanda di Cruyff, demolendo così una storia bellissima, quella del calcio totale.  Ma va reso loro atto che erano in credito con la storia stessa, infatti avevano già contribuito a scrivere una straordinaria pagina di pallone, proprio nel più singolare di tutti i derby mai giocati.   
Sparwasser era il numero 14 della Germania-Est, maglia blu targata DDR, profonda scollatura a V, segni particolari: svelto come la polvere. Segnò al 77° minuto sbucando in mezzo a Breitner, Voegts e Cullman, e beffando la leggenda vivente Mayer. 



Il calcio molto spesso è anche, e soprattutto, quello che non è, e Honecker, dittatore della Germania Democratica, non impiegò molto a capire il significato di questa vittoria, quello che poteva valere a livello propagandistico, sia su scala nazionale che continentale. I tedeschi d'Oriente avevano avuto la loro rivincita, era stato il loro giorno di gloria.  
Un paese triste si trasformava in un carnevale, una mela col verme in una Melinda, l'orgoglio nazionale veniva rispolverato e, naturalmente, Sparwasser diventava un mito. 
Questa era la favola, la vittoria ne era stato il lieto fine. 
O per lo meno, quelli che l'hanno comprata l'hanno venduta così.  

L'ho letta più volte questa storia, pensando che se al di là del Muro avessero avuto registi di regime in gamba, ne avrebbero potuto tirare fuori un bel film, un'americanata al contrario.  
Forse ci hanno pure pensato, poi magari hanno capito che sarebbe stato un po' come mettersi le mani in faccia dopo essersi puliti il culo. 
Sì, deve essere andata così.  
Cosa avrebbero raccontato?  
Che gente la cui massima ambizione era diventare Capitano dei pompieri aveva sbaragliato quelli che sarebbero divenuti Campioni del Mondo?  
Che ragazzi che non avevano mai vinto niente, neanche una biro alla lotteria del Partito Comunista del quartiere, avevano compiuto l'impresa oltre cortina? 
Che i cammelli erano passati in mezzo alle crune? 

Le toppe sono peggio dei buchi, e forse perfino i registi di regime se ne dovevano essere accorti. Non era più una gran favola da raccontare, specie perché il lieto fine durava poco più di tre fischi, e dopo sarebbero state solo bugie.  
In tutte le storie che ho letto si evidenziavano i toni epici di questa vittoria, il meritato e sudato senso di revanscismo di Honecker, Sparwasser, e soprattutto, degli 8.500 tedeschi dell'est che s'erano presentati ad Amburgo, a nord della Germania Federata, con un visto turistico che durava il tempo della partita (quest'ultimo particolare, sì, è pazzesco!).  
Insomma, pareva d'aver assistito ad un cambio d'epoca, a qualcosa di cruciale nella storia delle due Germanie. In quei momenti sembrava perfino che la Trabant potesse andare più forte della BMW, che il capitalismo non era il golden path, che Beckenbauer fosse stato defenestrato dal Gotha dei Kapitani di Cermania.  
Fondamentalmente non fu nulla di tutto questo, tant'è che il muro stette al suo posto per ben altri 15 anni, una generazione e mezzo. 
Un bellissimo miracolo inutile.  

Del resto come diceva il teatrante e scrittore Brecht: “Sfortunata la terra che ha bisogno di eroi”, specie se questi stessi eroi non hanno potere sugli esiti delle loro incredibili gesta, e a farne propaganda c'è un qualche Partito Comunista spietato nel bel mezzo della Guerra Fredda.  

Su History Channel ho visto un'intervista a Sparwasser qualche giorno fa. Raccontava che un suo amico, non appena Jurgen segnò, tirò calci alla televisione fino a sfondarla. Aveva intuito che sì, stava assistendo ad una partita dalla portata epocale, ma in cuor suo aveva già previsto quello che sarebbe successo, ossia che la DDR avrebbe tratto il massimo vantaggio pubblicitario da quella vittoria, bombardando la povera e vessata popolazione di reclame filosovietiche, inni alla gioia democratica, sfottò alle potenze occidentali, per settimane e settimane. 
Fu buon profeta: il gol fu infatti sigla dei programmi sportivi per anni.  
Sapete cosa credo io? 
Che ai crucchi di bianco vestiti non interessasse affatto vincere quella partita, e nemmeno pareggiarla; non ho mai pensato che negli spogliatoi si fossero imposti il no pasarán.  
Anzi, delle due, l'una: ho sempre ritenuto che i tedeschi dell'Ovest volessero prendere in giro tutti, volessero farli vincere, quelli vestiti di blu. Come fosse un favore fraterno. Per la serie:”Noi, proprio male che ci vada, alla fine del Campionato del Mondo saremo arrivati secondi. Almeno voi tornate di là dal Muro con questa soddisfazione, che capiscano che siamo uguali, che siete uguali a noi, almeno finché siamo in un campo di calcio”.   

Ho detto che la Germania Ovest era in credito con la storia per aver contribuito a scrivere una straordinaria pagina di football, e mi piace pensare che lo sia stata per questo motivo, per essersi arresa nobilmente ed essersi fatta da parte, per questa cortesia che non trova alcuna prova a suo sostegno né a livello storico né giornalistico, ed è solo un pensiero benigno e fiducioso di chi scrive. Mi piace pensarla in questa maniera anche nel caso in cui, se fosse andata veramente così, fosse stato più danno che utile, peggiore, come paragone, del marito che si taglia i maroni per far dispetto alla moglie.  
Se così fosse però, sarebbe più favolosa questa mia immaginazione della vittoria di Sparwasser. 
In fondo, a meno che non lo chiediamo a Beckenbauer o a Breitner (che una cosa di questo tipo potrebbe averla pensata veramente), chi può dire che non sia andata veramente così?

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