LARGO AL FACTOTUM


Prologo: siamo nella seconda metà degli anni sessanta e nella Repubblica Socialista della Romania da poco proclamata, l'uomo-regime Nicolae Ceauşescu, per spronare il paese ad occuparsi del problema degli orfani, ne adotta uno. Si chiamerà Valentin e, oltre alla passione per la fisica e per l'ingegneria nucleare, avrà un ruolo importante nella rinascita di quella che è diventata la squadra più blasonata di Romania: la Steaua di Bucarest. Molte storie, alcune vere e altre no, circolano su questo oramai anziano fisico nucleare di stanza a Magurele. Proprio uno di questi aneddoti ha dato il "la" alla stesura di questo articolo.


Facciamo un salto in avanti. Ora ci troviamo, temporalmente, negli anni immediatamente antecedenti alla caduta del muro di Berlino (9 novembre 1989). Come immagino saprete, i paesi a est della cortina di ferro non vedevano di buon occhio il passaggio dei loro atleti verso le squadre ad ovest della stessa. La Jugoslavia, ad esempio, proibiva di giocare all'estero a tutti i calciatori con età inferiore ai 28 anni. La Romania si poneva in questa diatriba in maniera ancora più estrema: in pratica vietava l'espatrio di qualsiasi calciatore (ed atleta in genere, ricordate la storia di "Sua maestà l'eleganza" Nadia Comăneci?) in maniera più assoluta. Questo, a mio avviso, per due fattori: evitare che si spargesse la voce del benessere che avrebbero in ogni caso intravisto lavorando fuori dai confini rumeni e mantenere gli atleti al pari di qualsiasi operaio/lavoratore vessato dal regime poiché all'interno del regime stesso, solo il "Conducator" Ceauşescu poteva ergersi al di sopra della popolazione. Inoltre, come ha già ben esplicato Zeman nell'articolo su Jurgen Sparwasser, le vittorie ottenute in campi sportivi avrebbero potuto essere sfruttate in maniera esemplare dal regime per darsi un tono e per dimostrare la supremazia della propria idea su qualsiasi altra (a questo proposito si veda la propaganda fascista in virtù dei due campionati del mondo vinti dall'Italia di Vittorio Pozzo nel 1934 e nel 1938 o quella comunista dopo la storica vittoria nella palla al cesto dell'U.R.S.S. sugli Stati Uniti alle Olimpiadi di Monaco di Baviera del 1972).


Bucarest: capitale della Romania. Se si parla di pallone qui si concentrano le due squadre più titolate della nazione: Steaua e Dinamo. Come nella maggior parte dei paesi sotto l'influenza comunista/socialista, le due squadre rappresentavano le sovrastrutture più importanti del regime: la Steaua l'esercito e la Dinamo il ministero dell'interno. All'inizio degli anni '80, complice anche una crisi economica societaria (e non chiedetemi come sia stato possibile dato che, a mia memoria, un esercito statale non può fallire), la Steaua attraversa un periodo di grave appannamento subendo oltremisura lo strapotere della Dinamo. Poi con l'arrivo in panchina del santone del calcio rumeno Emerich Jenei e grazie l'interesse sempre più "spinto" di Valentin  Ceauşescu la musica cambia. A cominciare dalla stagione 1984-1985 i rossoblù di Bucarest riprendono a vincere in patria con una costanza avvilente per gli avversari.
Con una squadra composta in toto da giocatori rumeni, la Steaua si presenta ai nastri di partenza della Coppa dei Campioni 1985-1986 senza i favori del pronostico (come di consueto per una squadra proveniente dall'altra parte della cortina di ferro) ma con un'unione di intenti e di spogliatoio ritrovata dopo il recente turbolento passato.

Piccolo memento su quell'edizione della Coppa dei Campioni: non sono ammesse squadre inglesi, poichè nell'edizione precedente i tifosi del Liverpool e la stupidità dell'UEFA e delle forze dell'ordine belghe annegarono la credibilità delle istituzione calcistiche e non nell'inferno dell'Heysel. E la tragedia, per il solito gioco del destino, escluse dalla Coppa dalle grandi orecchie l'altra metà del Mersey, più comunemente conosciuta come Everton Football Club. Inoltre ci fu il misterioso forfait della squadra campione d'Albania, che portò ad un sorteggio doppio per i sedicesimi di finale. Sorteggio doppio poiché, oltre agli accoppiamenti, venne pescata una squadra che avrebbe superato d'ufficio questo primo turno. Si trattava dei campioni belgi del Royal Sporting Club Anderlecht.

I sedicesimi di finale, contro i campioni danesi del Vejle BK, rappresentarono per i ragazzi di Jenei una formalità risolta con un sonoro 4-1 nel ritorno in terra rumena. Negli ottavi di finale la Steaua pescò gli ungheresi dell'Honved di Budapest, avversario che muoveva sentimenti solo in colui che era la testa pensante, nel rettangolo verde, degli undici di Jenei: László Bölöni. Ma le sue origini magiare non lo mossero a particolare compassione, tanto che anche gli ungheresi vennero seppelliti da un 4-1 nel ritorno di Bucarest. A quel tempo non esistevano le teste di serie e questo permise scontri poco raccomandabili già al primo turno (Porto-Ajax) e derby fratricidi già al secondo (Juventus-Verona). Al sorteggio degi quarti di finale giunsero anche i carneadi finlandesi del Kuusysi Lahti, appetiti da tutte le altre sette squadre rimaste in lizza come tortellini fatti in casa il giorno di Pasqua.
Siccome il calcio non è una scienza esatta, ma è la scienza che più ci si avvicina, gli amici di Babbo Natale vennero pescati dagli amici dell'esercito rumeno che, ovviamente, faticarono come non si dovrebbe mai fare contro squadre così. Il pareggio 0-0 a Bucarest non rappresentava un viatico particolarmente esaltante per affrontare il ritorno nelle terre finlandesi. Terre che, a quell'epoca, non erano preda delle scorribande degli "ingegneri" della Vivident.


In Finlandia decide il bomber Victor Pițurcă. Ve lo ricordate? No? Oltre ad essere stato un attaccante particolarmente prolifico in patria è diventato (e lo è tuttora) commissario tecnico della nazionale rumena. Dovremmo ricordarci di lui o come avversario nella spedizione europea dell'Italia nel 2008 (1-1 nella seconda partita del girone) o, e io propendo per questa ipotesi, per la clamorosa somiglianza con il Conte Dracula.


Oltre a lui, molti altri giocatori di quella Steaua, divennero C.T. della Romania: i sopracitati Emerich Jenei e László Bölöni, Anghel Iordănescu (che arrivò fino ai quarti nel mondiale americano del 1994) e Marius Lăcătuș e Gavril Pelé Balint (anche se solo come assistenti). A proposito del secondo nome di Balint si potrebbe scrivere un articolo a parte, ma ora come ora c'è troppa carne al fuoco e non vorrei perdermi.
In semifinale i ragazzi venuti dall'est pescano l'Anderlecht che a livello europeo, tra la metà dei seventies e la fine degli eighties, raggiunge i migliori risultati della sua storia. Un avversario che definire rognoso sarebbe stato riduttivo. Nella terra di Re Baldovino e delle birre trappiste la Steaua limita i danni e contiene il passivo a solo una rete, ribaltando, con una doppietta di Pițurcă inframezzata da una rete di Balint, il risultato e strappando il biglietto per Siviglia, per la finale della Coppa dei Campioni (prima squadra dell'est ad essere giunta così avanti nella competizione). Nell'altra semifinale il Barcellona si impone sui temerari svedesi dell'IFK Göteborg, capaci di dilapidare il 3-0 dell'andata e di farsi sconfiggere ai rigori dalla squadra allenata da Terry Venables.

Siviglia, 7 maggio 1986, "Estadio Ramón Sánchez Pizjuán".


Dei 60000 presenti quella sera a Siviglia, in pochi potevano presagire che avrebbero assistito ad una serata storica, forse nemmeno i tifosi della Steaua. I ragazzi di Jenei mettono in atto l'unica strategia, data la disparità teorica delle forze in campo, consentita: difesa ordinata e contragolpe.
A comandare la difesa della Steaua Bucarest c'è Miodrag Belodedici difensore enfant-prodige della sua generazione. Nato a Socol nel 1964, di origini jugoslave (nella sua regione d'origine si parla slavo e rumeno indifferentemente, una sorta di Trentino Alto Adige nell'ovest della Romania) e tifosissimo della Stella Rossa di Belgrado, fuggì contro l'opinione del regime verso la sua squadra del cuore alla fine della stagione 1987-1988. Ceauşescu e compagnia non la presero benissimo e, in maniera sobria e legale, entrarono in possesso del contratto appena firmato e lo occultarono sapientemente. Morale della favola: Belodedici dovette stare fermo un anno e riuscì ad accasarsi alla Stella Rossa solo l'anno seguente. Si rifece con gli interessi nella finale di Bari contro l'Olympique Marsiglia del 1991, tirando anche uno dei rigori che permisero di portare la Coppa dei Campioni fino a Belgrado.
Miodrag comandò la difesa nel miglior modo possibile e la Steaua riuscì a portare il superfavorito Barcellona fino ai calci di rigore. C'è anche da dire che il rapporto tra blaugrana e i tiri dal dischetto, durante quell'edizione della Coppa dei Campioni, era diventato una stupenda luna di miele che aveva portato all'eliminazione di Porto e IFK Göteborg (questi ultimi con uno dei rigori decisivi segnato dal portiere Urruti).
A questo punto deve entrare in gioco il factotum che dà il nome a questo spossante post: Helmuth Duckadam.


Helmtuh indossa una maglia verde, bardata su spalle e maniche con le tre righe bianche dello sponsor tecnico e gioca in porta. Anche i pantaloncini sono verdi, lucidi e in poliestere. Tipicamente anni '80. Helmuth ha i baffi folti e castani come i suoi capelli ed è un bel marcantonio dall'alto del suo metro e 90 centimetri. Ha nella reattività la sua dote di spicco e, quando si arriva ai calci di rigore, decide che quella sarà la sua serata.
L'arbitro Michel Vautrot lancia la monetina e stabilisce che ad iniziare saranno proprio i rumeni, che per l'occasione inodssano la maglia bianca da trasferta. Sul dischetto si presenta l'onesto Mihail Majearu che però si fa intercettare il tiro da Urruti. Lo stadio è una bolgia e già pregusta una facile vittoria dei blaugrana che mandano a tirare il capitano José Ramón Alexanko. Destro a mezz'altezza incrociato, alla destra di Helmut che intuisce e respinge con naturalezza. Tutto da rifare. Il secondo tiratore scelto della Steaua è il dentista László Bölöni che si avvicina al dischetto con una paura fottuta negli occhi. Tira di sinistro, aprendo il piattone. Ma Urruti intuisce e evita il gol. Il "Sánchez Pizjuán" esplode nuovamente e i vessilli barcelonisti sembrano voler straripare dagli spalti. Ángel Pedraza non si scompone e, dopo aver posizionato il pallone sul disco bianco, parte per scaricare il suo destro. Il rigore sarebbe perfetto, un altro destro incrociato che si sarebbe incastonato nella porzione di rete situata tra il palo e il paletto di sostegno della porta ("Tra palo e paletto, rigore perfetto" diceva Michele Padovano) ma Pedraza non ha fatto i conti con Duckadam: felino, il nostro, compie un intervento ai limiti dell'incoerenza fisica e devìa il pallone fuori dallo specchio della porta. Tifosi spagnoli di nuovo in silenzio e il futuro viola Marius Lăcătuș si presenta al cospetto della porta stregata con un'idea vincente: tirare la botta. Siluro centrale che sbatte sulla traversa ed entra in porta. 1-0 Steaua e più di un tifoso catalano comincia a pensare che potrebbe non essere la serata giusta per portare a casa il trofeo. Ora la pressione si sposta su Pichi Alonso, entrato nel secondo tempo supplementare proprio nell'evenienza di una conclusione di partita dal dischetto. Duckadam gli legge nella mente: l'attaccante iberico infatti pensa che è impossibile che il portiere si tuffi di nuovo sulla sua destra e calcia, anche lui ad incrociare, proprio lì. Ma Helmuth, che è partito per quell'angolo molto prima rispetto ai canoni standard di un portiere che si rispetti, vola e para. Jenei non crede ai suoi occhi, mentre il quarto rigorista Gavril Pelé Balint ha l'animo più sereno sapendo di potersi permettere anche un errore. Così non sarà perchè Balint, nonostante il rumore infernale delle trombette spagnole (la cosa più simile alle vuvuzelas che esista nel vecchio continente), spiazza facile facile Urruti e costruisce il primo match-ball per i rumeni. Marcos Alonso non è tranquillo e, nel tragitto dal cerchio di centrocampo all'area di rigore, pensa a che delusione sarebbe per la sua gente perdere la coppa proprio sul terreno spagnolo. Ma Marcos Alonso non è un tipo che sa reggere certe pressioni e tira un rigorino molliccio sulla sinistra dell'eroe di Siviglia che para anche quello. Impazzisce di gioia la Steaua Bucarest, se la piglia in saccoccia il Barcellona. Coppa in Romania e storia finita.


Storia finita? Nemmeno per sogno.
L'idea di scrivere questo lunghissimo post è nata da un racconto di cui sono venuto a conoscenza tempo addietro.
In quel 1986 Juan Carlos di Borbone, re di Spagna, promise in regalo una Mercedes al miglior giocatore della finale. Forse era troppo sicuro che la macchina sarebbe rimasta in Spagna, ma non potè rimangiarsi la parola data e consegnò la vettura all'atleta più meritevole di tutti: Helmuth Duckadam, ovviamente. Ma tornati in Romania il regime di Ceauşescu decise di confiscare la macchina in nome del "popolo" rumeno. Duckadam oppose il suo più netto rifiuto.
Nello stesso periodo Sir Alex Ferguson stava incominciando a gettare le basi per il suo progetto United e, dopo averlo visto all'opera durante quella Coppa dei Campioni, chiese espressamente alla sua dirigenza di ingaggiare Duckadam. Helmuth, evidentemente, non disdegnava l'idea. Ho già spiegato, un centinaio di righe or sono, sia che il figlio adottivo di Ceauşescu, Valentin, aveva molto molto molto a cuore le vicende della Steaua e che gli atleti rumeni non avevano la possibilità di trasferirsi all'estero.
Ora fate finta di essere davanti ad un bivio, anzi ad una storia a bivi: secondo voi come sarà mai andata a finire?
Ci sono due versioni: una ufficiale ed una ufficiosa. Ma sia ben chiaro che io non sostengo nè l'una nè l'altra (nonostante mi ritrovi pienamente nella definizione di complottista) perchè da sempre "i nostri uomini ti vedono". In questo caso quelli della Securitate rumena.


Versione ufficiale: proprio nel 1986 a Helmut viene diagnosticata una trombosi arteriosa alla mano destra a causa di un grumo di sangue spostatosi dal braccio alla mano. Carriera finita e nessuna possibilità di confermare il titolo di Calciatore rumeno dell'anno appena conquistato.
Versione ufficiosa: lo sgarbo per il rifiuto di consegnare la Mercedes sommato alla voglia di trasferirsi alla corte di Ferguson, fecero sì che qualche scagnozzo di Valentin Ceauşescu ponesse fine alla carriera del portiere della Steaua Bucarest utilizzando un bastone o un fucile a seconda di chi racconta questa storia.

Come ho precisato sopra io non so a cosa credere, anche se le ferme smentite di Helmut a proposito della seconda versione e la sua permanenza nei confini rumeni fino alla prima metà degli anni 2000 mi fanno pensare...


Nessun commento:

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...