ERRARE HUMANUM EST

Checchè ne dica Nicolò Gianelli il Portogallo esiste. Eccome se esiste. Ve lo posso assicurare perchè, e lo sapreste se mi seguiste su facebook o avessimo un qualche contatto in comune, ho vissuto a Lisbona dall'8 settembre al 15 dicembre 2013.

Lisbona vista dalle mura del suo castello

E l'idea di scrivere questo post mi è venuta proprio una sera mentre, scendendo alla ricerca di un taxi da quel luogo di perdizione, birre a prezzi stracciati e spacciatori riusciti male che risponde al nome di Bairro Alto, mi sono trovato a rimuginare su un evento accadutomi pochi sabati prima. Evento che, per forza di cose, vado testè a raccontarvi.

FERMI TUTTI QUESTA E' UNA RAPINA

La metropolitana di Lisbona chiude i battenti all'una del mattino e, per chi come me vive nel blu e distante dal centro della capitale, il taxi rimane la sola soluzione per rientrare all'ovile con la sensazione di aver salvato capra e cavoli. Ebbene, grazie anche alla mia capacità nel trattare i prezzi e la non eccessiva esosità dei costi delle corse in taxi, sono ben presto diventato un habituè di questo tipo di trasporto. Come un vero fighino da brodo di dado.
La storia è breve ed intensa: è tardi, ho sonno, saluto la cumpa e scendo dal Bairro Alto verso Praça Dom Pedro IV con la certezza di trovare qualche professionista che mi riaccompagni a casa. In meno di tre minuti sono sulla macchina nera che sfreccia per la vie della città puntando forte in direzione Alto do Moinhos. Dieci minuti dopo siamo all'imbocco di Rua Cidade de Rabat, ringrazio l'autista e, osservando il tassametro, estraggo dieci euro compiacendomi del fatto che almeno 2 e mezzo mi sarebbero rientrati come resto. A questo punto il tassista mi chiede se invece di lasciarmi lì in mezzo alla strada potesse parcheggiare in uno spiazzo/parcheggio pochi metri più avanti per non intralciare il traffico. Io acconsento non riflettendo sul fatto che è impossibile intralciare il traffico alle 4 e mezza di mattina. Semplicemente perchè in giro non c'è una macchina che sia una. Comunque sia andiamo a parcheggiare e quando faccio per uscire e dargli i soldi vedo che anche lui esce dalla macchina. Ho dimenticato, forse volutamente forse no, di dirvi che le dimensioni del tassista non sono esagerate. Per farvi un'idea la sua altezza e corporatura sono come le mie, solo un po' più portoghesi. Ora il simpatico TravisBickle (nome di fantasia che ben si appiccica sul nostro "eroe") mi si para di fronte e mi intima di consegnargli tutti i miei soldi. Io sono paralizzato e lui, con grande tempismo, mi colpisce alla schiena con due "rocchetti" ben assestati.
Cos'è un "rocchetto"? Un "rocchetto" è sostanzialmente una specie di pugno dato con movimento dall'alto verso il basso non con tutta la mano ma tenendo il dito medio più sollevato (che così è l'unico che colpisce il bersaglio). Spero di essermi spiegato ma, in caso contrario, mettevi in contatto con Eddi Cavani che è il massimo esperto in materia e potrà dissipare ogni dubbio.
Dopo questi due colpi mi trovo costretto a spingere via TravisBickle e a biascicargli che non gli darò proprio un cazzo di niente. Travis allora si fa più aggressivo e continua a colpirmi e mi piazza anche due calci sulle cosce. Poi riparte coi "rocchetti". È tardi, sono stanco e non in perfette condizioni per sostenere questa pallida imitazione di 'Fight Club', così lo fermo e apro il portafoglio. Gli consegno diciassette euro e qualche spicciolo. TravisBickle, immaginando che io menta, mi piazza altri due "rocchetti" e mi chiede di svuotare le tasche. In sostanza mi ruba anche il tabacco. 35 grammi di Amber Leaf giallo comprato poche ore prima. Poi sale in macchina imprecando contro di me e contro il suo magro bottino e se ne va.
Ora, caro TravisBickle, siccome sono sicuro che tu legga questo blog con avidità ti do un consiglio per la prossima volta: siccome esistono i bancomat sarebbe un'idea migliore costringere la persona che vuoi rapinare a fare un bancomat e portargli via più soldi. E, per inciso, rubare il tabacco è un gesto ignobile e vergognoso.        

Lati positivi e negativi si elidono... Stronzate

Partendo dall'episodio narrato qui sopra, stavo quindi scendendo dal Bairro Alto e rimuginavo sul fatto che avrei dovuto prendere un altro taxi. E, per un riflesso quasi pavloviano, ho avuto un moto di bauraaah. Poi, e qui finalmente si entra nel vivo del post, mi sono tornate in mente le parole e un gesto specifico di un calciatore/filosofo dell'Italia degli anni '70: Ezio Vendrame. Trequartista senza venerdì che ha militato in quasi tutte le squadre venete possibili e immaginabili, Ezio si esibì con la maglia del Padova in quanto segue: dopo aver dribblato un numero imprecisato di avversari si presentò a tu per tu col portiere avversario e, dopo averlo saltato, tornò indietro e lo affrontò una seconda volta perchè, a suo dire, "anche i portieri sono uomini e hanno diritto ad una seconda possibilità".
Ovviamente nella mia testa avevo coniugato questa frase ai tassisti, ma poco importa.

Ezio Vendrame. Calcio e letteratura al potere!

ANCHE I PORTIERI SONO UOMINI vol.1, EPISODIO ITALIA '90

Dopo che Luca Cordero di Montezuma e la sua allegra combriccola si erano mangiati tutto il mangiabile per la messa a norma e l'edificazione degli stadi di mezza Italia, nell'estate del 1990 si potè dare inizio al Campionato del Mondo di calcio. L'Italia, padrona di casa e naturalmente nel novero delle favorite, si presentava con una rosa di tutto rispetto, il giusto mix tra giovani virgulti e gente di provata esperienza. Il tutto sotto la guida dell'istituzionalissimo commissario tecnico Azeglio Vicini.

Potevano farla anche un po' più tamarra...

Gli azzurri ebbero la meglio sulle dirette concorrenti nel girone eliminatorio (Austria, Stati Uniti e Cecoslovacchia) senza subire nemmeno una rete. Questo perchè la cerniera formata da Beppe Bergomi, Franco Baresi, Paolo Maldini e Riccardo Ferri non permetteva agli avversari di vedere facilmente la porta azzurra. E, quand'anche gli avanti avversari fossero riusciti a scoccare le loro frecce velenose, tra i pali, avvolto nella sua casacca grigio-metallizzato, si materializzava l'antidoto. Antidoto che, blasfemicamente, fu ribattezzato Uomo Ragno: si tratta di Walter Zenga. Miglior portiere del mondo nel 1989, l'estremo difensore dell'Inter fu uno dei primi a sperimentare il binomio calciatore-velina (anche se all'epoca si chiamavano showgirls o soubrette) ed apparire con costanza sui rotocalchi non solo per le sue imprese sportive. Protagonista nello scudetto dei record vinto dall'Inter del Trap, Zenga, la cui tempestività e reattività tra i pali e nelle uscite erano note a tutti, era l'indiscutibile numero uno della nazionale e si presentava all'appuntamento mondiale con la necessaria fiducia, dato che l'ultima rete subita in azzurro stava per compiere 8 mesi (Italia-Brasile 0-1, 14 ottobre 1989). E nella prima fase, come spiegato sopra, la rete resta immacolata anche grazie a due prodigi contro la Cecoslovacchia e ad un'incredibile parata contro gli Stati Uniti. Gli azzurri sono carichi e, dopo aver agevolmente sconfitto agli ottavi di finale l'Uruguay 2-0, approdano alle semifinali sconfiggendo i verdi d'Irlanda per 1-0 grazie anche ad un paio di interventi volanti di Walter sui colpi di testa di Tony Cascarino.
Piccolo O.T. Se qualcuno avesse la voglia e la possibilità consiglio la lettura della biografia del suddetto Tony: stradivertente, piena di storie incredibili e aneddoti impossibili.
5 partite intere senza subire gol e la possibilità, nella semifinale che vedrà l'Italia affrontare l'Argentina a Napoli, di scavalcare l'icona Peter Shilton in quanto ad imbattibilità ad un mondiale. Diciamo che il mondiale, per Zenga e per gli azzurri, poteva mettersi peggio.
Tutti i calciatori, quando viene loro chiesto di entrare nel merito, affermano sempre (a parte sua sincerità Filippo Inzaghi) che i record non sono importanti, che prima viene la squadra, che Cristo è morto di freddo ed altre amenità di questo tipo.
Come penso si possa intuire diciamo che ai miei occhi sono credibili quanto la progenie di Bettino Craxi. In assenza di controprove certe, comunque, siamo tutti innocenti. Calciatori compresi.
La semifinale di cui sopra veniva sbloccata dall'eroe di Italia '90 Totò Schillaci e, grazie anche ad un paio di autentiche prodezze di Walter Zenga, si avviava placida ad entrare nella seconda metà della ripresa senza poter immaginare un epilogo diverso da quello che si stava dipanando: Italia in finale e buonanotte ai suonatori.

e più lo mandi giù, più si tira su

Quando sei bravo a fare qualcosa e tutti te lo dicono in continuazione può darsi che tu perda un po' la testa. Non è scientificamente provato, ma può succedere. Anzi, succede spesso. Ecco, se devo dire la mia, quello che ha guidato Walter Zenga nella sciagurata uscita che possiamo vedere e rivedere nel video sopra è stato un clamoroso eccesso di sicurezza e di spocchia. Eccesso che ci può stare, sempre, e che nei portieri è una costante certa nel DNA del ruolo. D'altronde i portieri sono uomini e hanno diritto ad una seconda possibilità, ma quell'errore che costò all'Italia la finale (e perchè no la vittoria) del mondiale casalingo fu un clamoroso eccesso di sicumera. Il miglior portiere del mondo, il portiere che da 16 minuti deteneva il record di imbattibilità mondiale incappò nella peggiore "cappella" possibile. Fuori tempo massimo per uscire, pur accorgendosene, Walter erroneamente pensò che avrebbe comunque preso il pallone, forse perchè si sentiva più forte, forse per deconcentrazione, forse perchè chi si loda s'imbroda, forse perchè... Forse niente. Claudio Caniggia, 170 centrimetri di "balotta argentina", segna di testa e les jeux sont fait.

DA LISBONA A PORTO

In Portogallo, e voglio di nuovo ribadire a Gianelli che il Portogallo è vivo e lotta insieme a noi, la grande rivalità, sportiva e non è tra Lisbona e Porto. Accenti diversi, differente clima (più calda la capitale, più fredda l'ostile Porto) e differente mentalità. Per spiegare anche voi, cari i miei provincialotti, diciamo che è, grossomodo, la trasposizione lusitana dell'imperitura sfida tra Milano e Roma. Gli epiteti e i motivi di divisione sono più o meno gli stessi: a Porto si lavora a Lisbona no, a Lisbona c'è la storia a Porto le fabbriche, la gente di Porto è più chiusa quella di Lisbona è più cosmopolita e via così fino alla sfrangimento di coglioni di chi parla e/o di chi ascolta.

 
Porto by night. Gentile concessione delle meninas

A livello culinario, a Lisbona, vorrei parlare del baccalà e dei dolci. Ma, e qui mi sovvien l'eterno, questo non è ancora il blog di Benedetta Parodi, per cui fate un salto nella capitale e dateci dentro. Per consigli e/o imbeccate sapete dove trovarmi.
Per quel che riguarda Porto, invece, una cosa da provare assolutamente è la spaventosa Fracesinha, un insieme di fritti, carne, pane, uova e altre diavolerie che vi faranno esplodere le papille gustative e, in linea di massima, anche i neuroni. Ma, ribadendo il concetto che qui non c'è Benedetta Parodi che tenga, posso inviarvi da qualcuno che ne sa più di me nel caso voleste farci un salto.

Marika ci mostra che la paura è un sentimento che lei non conosce

La domanda, ammesso e non concesso che non abbiate abbandonato la lettura svariate righe or sono, che mi starete ponendo è: ma perchè quel guascone di Santu ci ha portato fino a Porto? Domandare è lecito e rispondere è cortesia, quindi seguitemi. Tutti quanti seguitemi.

Quando inizia una crisi è un po' tutto concesso

Il 20 aprile 1994 l'amata Unione Calcio Sampdoria vince l'ultimo trofeo della sua breve quanto titolata storia: si tratta della quarta Coppa Italia. Al timone dei marinai c'è il marpione svedese Sven Goran Eriksson e in campo c'è una squadra della Madonna (della Guardia). In ordine sparso: Mancini, Gullit, Platt, Jugovic, Lombardo giusto per citarne due o tre. I blucerchiati ammazzano l'Ancona 6-1 nella finale di ritorno e, nonostante il terzo posto in serie A, si guadagnano l'accesso per la Coppa delle Coppe dell'anno successivo, trofeo già vinto nel 1990 e sfiorato nel 1989. Nell'estate del 1994 Walter Zenga e Gianluca Pagliuca si scambiano le maglie e l'Uomo Ragno, invecchiato malino rispetto ad Italia '90, si trova a difendere la porta della prima squadra di Genova. L'avventura europea non si rivela immediatamente impegnativa, poichè i primi due turni vengono superati agevolmente rispedendo direttamente al mittente le velleità di Bodo Glimt (squadra norvegese) e Grasshoppers (squadra svizzera). Il sorteggio dei quarti di finale, invece, mette la Sampdoria di fronte agli ostici portoghesi dell'F.C. Porto allenati dall'icona Bobby Robson. All'andata, disputata in quello che rimane uno stadio bellissimo e che risponde al nome di "Luigi Ferraris", i doriani, proprio come i biscotti omonimi, rimangono inzuppati nella tattica per nulla speculativa dei biancoblù e si vedono infilzare  a metà ripresa dal centravanti russo Sergej Juran e al 90' si ritrovano con una sconfitta casalinga meritata e, fortunatamente, striminzita che rende il ritorno una scalata tutt'altro che semplice. Nell'uggiosa Porto e nel vecchio Estádio das Antas (95000 posti a sedere...), gli uomini di Eriksson erano chiamati a compiere l'impresa. E, trascinati dal carisma del capitano ROBERTO MANCINI e dal suo splendido gol, riuscirono a portare la partita ai calci di rigori. Anche se, già prima dei penalties, si era eretto a protagonista assoluto l'eroe di questa storia: Walter Zenga. In una di quelle serate che ogni portiere vorrebbe vivere, ambiente ostile, squadra in inferiorità numerica (Platt si era beccato un rosso quantomeno discutibile), l'Uomo Ragno para anche le scoregge e, nella lotteria dei tiri dal dischetto, si rivela molto più utile e fruttifero di 4 anni prima con la casacca dell'Italia, parando il rigore di Latapy e portando così il Doria in semifinale contro l'Arsenal.

nostalgia nostalgia Chinaglia

ANCHE I PORTIERI SONO UOMINI vol.2, EPISODIO SAMPDORIA-ARSENAL

Sotto con la semifinale, dunque.
L'andata ad Highbury si conclude 3-2 per i londinesi, ma il risultato è più bugiardo di una conferenza stampa di Carlo Giovanardi. Il Doria meritava almeno il pareggio ma, in virtù dell'antica regola per cui i gol in trasferta valgono doppio, non è un risultato disprezzabile. Anzi. E allora eccoci in un Marassi stipato per la semifinale di ritorno. Racconta il presidente di Modena Blucerchiata Riccardo Artioli che quella fu la sua prima partita live al seguito della sua squadra del cuore. Quindi me l'immagino il presidente, con il suo solito sorriso, in quella bolgia allucinante assistere all'1-0 di Mancini, al pareggio Gunner della leggenda Ian Wright e alla favola di Claudio Bellucci.
Cresciuto nelle giovanili blucerchiate l'allora 17enne Bellucci giocò da titolare la sfida in questione. E in tre minuti, tra l'84esimo e l'86esimo, il "Bello" realizza una doppietta incredibile. Gol di rapina con seguente corsa a perdifiato sotto la sud e destro vincente a conclusione di un contropiede sapientemente orchestrato dalla premiata ditta Mancini-Lombardo. Due reti che, in linea di massima, avrebbero dovuto mandare la Sampdoria alla finale di Parigi. E invece qui rientra in campo colui che aveva permesso alla Sampdoria di disputare questa semifinale: Walter Zenga. Mancano infatti pochi spiccioli alla fine della gara e l'Arsenal può usufruire di una punizione dal limite. Se ne incaricherà lo svedese, ex meteora della Fiorentina, Stefan Schwarz. Giocatore che, va detto, aveva nel tiro da lontano forse la sua dote migliore.

più guardo queste immagini, più non ci posso credere

Se guardate il video, anche se lo sviluppo dell'azione è giocoforza differente, potrete capire il mio paragone tra la "cappella" eseguita da Zenga contro l'Argentina e quella contro l'Arsenal. Sicurezza estrema, pessima valutazione del rischio, spocchia e voce del verbo "andare a terra come un sacco di patate". Quando su punizione il pallone si insacca sul palo difeso dal portiere, l'errore dell'estremo difensore è marchiano e indifendibile. Da lì calò il gelo sulla semifinale che, trascinatasi stancamente ai rigori, vide la vittoria dei "cannonieri" londinesi che poi, per la maledizione che impediva di vincere per due volte consecutive la Coppa delle Coppe, troveranno la morte sportiva contro il Real Saragozza nella finale di Parigi con il clamoroso gol di Nayim.

Il mongolo che prende questo gol, ha parato 3 rigori in semifinale. Non dirmelo, non ci credo.

E così, mestamente, la Sampdoria usciva dalla Coppa delle Coppe e Walter Zenga sfruttava male la sua seconda possibilità, in quanto l'anno dopo venne soppiantato da quel simpaticone di Angelo Pagotto e, dopo essere passato da Padova, comincerà un lungo vagabondare per il globo terracqueo.
Errare humanum est, perseverare autem diabolicum.

Il portiere su e giù cammina come sentinella.
Il pericolo lontano è ancora, ma se in un nembo s'avvicina
oh allora una giovane fiera s'accovaccia e all'erta spia. 
(Umberto Saba)


Ciao Walter.

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