L'IMBARAZZO DELLE SCELTE SBAGLIATE - UN'ENCICLICA SU JAAP STAM

CIO' CHE DEVE ACCADERE ACCADE

San Giovanni da Cerreto Alpi una volta ha detto che ciò che deve accadere accade e sicuramente intendeva che per quante storie di calcio possano essere raccontate, non bisogna aver alcuna fretta di farlo perché non è importante cosa scrivere, ma quando e per quale ragione farlo.
E, fidatevi, quando Lindo canta di percorsi incomprensibili che tracciano traiettorie inequivocabilmente precise, dice il vero, come ineccepibile ne è il diretto corollario, ossia che improvvisamente s'è obbligati a cadere verso mondi leggeri per sconcertante necessità, in forza di quel che si è visto e sentito.

Traduco: recentemente son successe alcune cose che mi hanno portato a scrivere di quanto segue senza che io avessi assolutamente progettato di farlo.

Ciò che deve accadere accade, appunto.

Dopo Sassuolo-Milan 4-3 ho visto su Pagelle Ignoranti una foto che mi ha riportato alla mente un amaro ricordo. Guardatela e mettete da parte (e tornate pure a far finta che il 25 Maggio dell'anno di disgrazia 2005 non sia successo niente).


A seguito della sconfitta contro i neroverdi, l'AC Milan esonera Max Allegri e chiama Clarence Seedorf alla guida della squadra, il quale sbuca con l'idea molto americana di disporre di un allenatore per ogni reparto. Fa alcuni nomi, forse sapete/saprete quali, forse no.
Anyway: mettete da parte anche questo.

Infine, alcune sere più tardi mi ritrovo a giocare a Risiko con alcuni amici, tra cui Berta, la risposta di Maranello a Peter Crouch. Ebbene, le carte dei territori gli dicono male ed SB9 si ritrova le armate sparpagliate per tutto il globo terracqueo senza alcuna soluzione di continuità. Dopo alcune mosse che mi sentirei di definire "di un'ignoranza sensazionale", dispone alcuni buoni eserciti che appaiono pronti a sferrare attacchi su più fronti. Tuttavia, nel corso del suo turno egli sembra indeciso e non sa chi e dove aggredire. Gli viene appuntato:"Non sai cosa fare? Ma se hai l'imbarazzo della scelta?!?" E lui, valutando la forza numerica nonché la potenza di fuoco dei carrarmatini schierati sui territori confinanti, risponde sardonico:"Ho l'imbarazzo della scelta... Anzi no, delle scelte... delle scelte sbagliate però...". Infatti qualsiasi mossa faccia, scoprirebbe il fianco e la sua partita correrebbe il rischio di chiudersi anzitempo.


Al di là di Risiko, riconosco nella sua risposta una genialità assoluta che trova tantissimi equivalenti nella vita di tutti i giorni e alcuni paragoni anche nel calcio, e proprio in quel preciso momento ho la mia personalissima folgorazione sulla via per Damasco. Il percorso incomprensibile iniziato con la remuntada del Sassuolo contro il Milan, proseguito con l'ingaggio di Seedorf come allenatore e terminato con i carrarmatini viola di Berta schierati a cazzo un po' in Islanda, un po' in Quebec e un po' in Europa Meridionale diventa chiarissimo.

Ciò che doveva accadere sarebbe accaduto, il mondo leggero verso cui sarei caduto per sconcertante necessità e in forza di ciò che avevo visto e sentito era quello del pallone: non avrei potuto far altro che parlare di Jaap Stam.



ESISTONO DUE CATEGORIE DI ESSERI UMANI: GLI ITALIANI E QUELLI CHE VORREBBERO ESSERLO (Cit. Joe Bastianich)


29 Giugno 2000, siamo in orario aperitivo-inoltrato e tutt'Italia, o per lo meno quella rappresentata dai maschi-Alfa, il cui cuore ed il cui cervello sono mossi da un pallone con esagoni bianchi e pentagoni neri, è incollata alla televisione perchè ad Amsterdam sta andando in scena quella che passerà alla storia del calcio come la più bella Fort Alamo azzurra di tutti i tempi, la semifinale dell'Europeo disputata contro i peggiori avversari che potessero capitarci in quel delicatissimo frangente: i padroni di casa dell'Olanda.

Per ragioni che non indagheremo qui, la sto guardando in macelleria insieme al titolare dell'attività e al mio amico Mario, il quale ha l'enorme difetto di essere un gobbo demmerda ma che come me ama i colori azzurri (quelli della Nazionale, beninteso) e con il quale, quell'estate, avevamo ingaggiato la sfida a chi avrebbe guardato più partite dell'Europeo. Nessun problema, non fosse che proprio in quel periodo avevamo l'esame di Maturità.
Comunque!
Sappiamo tutti come andò a finire ma voglio comunque elencarvi alcuni episodi salienti e voglio farlo per due motivi: in primis perchè successe di tutto (a mia memoria non ho mai più rivisto una partita così), in secondo luogo perché anche a distanza di tempo certe cose fanno ancora godere uguale e se l'Italia stette (e tuttora sta) sul cazzo non solo a chi uscì ma anche a tutto il resto del mondo, fu perché chiunque, quella sera, avrebbe voluto essere italiano.

Godo ancora

Ricorderete che all'inizio del Campionato Europeo si infortuna Buffon, il quale viene sostituito dal suo vice Francesco Toldo, non ritenuto però all'altezza del portiere juventino. Fortunatamente questo non incide in negativo, tant'è che la Nazionale Italiana vince tutte le partite che gioca, passa come prima del girone e supera la Romania ai quarti di finale. A quel punto però, per una strana legge del contrappasso declinata in chiave calcistica, la situazione volge al peggio e ci si ritrova in quello che sembra un epilogo già scritto: la griglia dice Netherlands, paese organizzatore nonché nazionale favoritissima. 
#sfigaticomeuncaneinchiesa

Esticazzi

L'Amsterdam ArenA è una santabarbara arancione, 'na roba che se i tifosi Oranje avessero a mano quelli italiani, li butterebbero in mezzo ai fiordi e li annegherebbero. Non bastassero queste condizioni climatiche ostili, ci si mette anche l'arbitro Marcus Merk che al 33' del primo tempo caccia fuori per somma di ammonizioni Zambrotta, il meno cane di tutta la brigata, ma un po' Zenden che pare una scheggia impazzita, un po' il direttore di gara che, comprensibilmente impaurito dalla marea arancione tutto intorno, non fischia per l'Italia nemmeno per sbaglio, la gestione della gara è più a senso unico della partita della morte.

A questo punto l'Olanda ha l'imbarazzo della scelta, anzi no, delle scelte: ha tutte le carte in regola per vincere. È padrona di casa, si ritrova in superiorità numerica e può contare sul tifo del 99% del pubblico pagante e sull'appoggio di quello non pagante, ossia la terna arbitrale: insomma, questa partita la può perdere solo lei, è sufficiente che tutti i giocatori abbiano le scarpe allacciate, che in questo momento la cosa che più assomiglia all'Italia è Bernardo il servitore di Zorro, muto e (apparentemente) rassegnato.

Gli arancioni la mettono sulla tecnica (da vendere) e sulla corsa (da darne via in sconto). Tirano ogni volta che vedono la porta e il più pericoloso è l'avvelenato Bergkamp che colpisce il palo; come direbbe Piccinini: botta incredibile, non va! Viene loro assegnato un rigore per tempo, ma il sottovalutato Toldo para il primo a Frank De Boer e nel secondo strega Kluivert che, pur spiazzando il portiere azzurro, calcia il pallone contro il legno. Ma non finisce qui. Quello italiano è un popolo temibile quando è chiamato a difendere un risultato e dopo 120 minuti di infarti giovanili (i miei) e sonore bestemmie montanare (quelle del mio sodale Mario), costringe l'avversario ai rigori.


Nesta la definì “la partita del miracolo” e se il premio come miglior attore protagonista lo vinse Toldo, i titoli di coda se li prese Francesco Totti riportando di moda lo scavino di Panenka.
In quel “Mo' je faccio er cucchiaio” sussurrato a Di Biagio a centrocampo non solo era racchiuso lo spirito di tutti gli italiani che si ritrovarono il cuore in gola per quello che non fu più di un secondo ma che parve durare una vita e mezzo, ma rappresentava anche, di contro, il più strano dei paradossi. L'Olanda aveva avuto l'imbarazzo della scelta, anzi, delle scelte, e fu capace di sbagliarle tutte: erano a campo vinto e mandarono tutto a carte quarantotto. Totti, che questo imbarazzo nemmeno doveva provare a immaginarselo, se lo costruì artificialmente, valutando tutte le possibilità di battere un calcio di rigore e scegliendo quella più facile da sbagliare. Per nostra fortuna gli andò di lusso.


Daje Francé!

Tra i rigori sbagliati ci fu anche quello di Jaap Stam, che al tempo veniva considerato l'uomo più sgodevole del mondo, cattivo come l'olio di ricino. Per la cronaca il pallone calciato dal marcantonio di Kampen deve ancora scendere.
Qui il missile terra-aria del centralone olandese, commentato così dalla Gialappa's:"E siete delle povere teste di minchia, siete una popolazione di imbecilli, quattro rigori consecutivi sbagliati!"

Tutti sappiamo anche come finì quel torneo anche se credo che nessuno lo abbia definito meglio dei tremendi ragazzi di Mai Dire Gol:”Abbiam rischiato di vincere un Europeo con un gol di Del Vecchio...”, ma un'altra cosa, a parte il cucchiaio di Totti, mi è sempre rimasta in mente, e riguarda proprio Stam.


Durante Repubblica Ceca – Olanda (I suppose, perché in rete non esistono immagini o video di quello che vado tosto a raccontarvi) succede infatti che lo spaventoso difensore olandese subisce una gomitata all'altezza del sopracciglio. La ferita è profonda, perde molto sangue, occorre che gli vengano applicati dei punti.
Per capirci, ad una persona qualunque il medico condotto avrebbe firmato un day hospital e tre giorni di assoluto riposo. Cosa fa invece Stam? Si siede in panchina, chiama il Doc e gli dà cinque minuti di tempo per suturare l'arcata sopraccigliare così come se niente fosse. Ricordo perfettamente le mani tremanti del medico che con ago e filo ricuciva la pelle del bad boy olandese, quasi temesse di disturbarlo mentre questo teneva gli occhi fissi sullo svolgimento della partita, dispiaciuto non tanto dell'aver preso una brutta botta, ma per la beffa di aver temporaneamente abbandonato la sua squadra in dieci uomini.


THE BIG MISTAKE

Dovessi definire Jaap Stam direi che sia stato uno di quei difensori che non chiedono né permesso prima né scusa dopo, di quelli che quando tu, attaccante, ti stai avvicinando a loro percepisci le stesse emozioni che proveresti ad un concerto dei Rammstein quando attacca Feuer Frei!, che più ti fai sotto, più e facile imbattersi in una girandola di schiaffi a stretto giro di posta.

Di' che vengano avanti, che le prendono dispari

L'olandese Jakob -perché questo è il suo vero nome di battesimo- assurge agli onori della cronaca sportiva ai tempi del Manchester United del Treble, la squadra che vince la Champions League contro il Bayern Monaco.
Centrale difensivo, fa coppia con Ronny Johnsen e ha preso il posto di Gary Pallister -una mezza leggenda dei Red Devils- senza farlo rimpiangere, tutt'altro. Al di là del fisico da corazziere, ha un fare intimidatorio che presto lo porta ad essere temuto e rispettato ben oltre alle abilità tecnico-difensive. 
Per intenderci, all'epoca giocano molti altri difensori di alto livello, basti pensare a quelli italiani: Maldini, Nesta e Cannavaro, tanto per dirne tre. Ma se questi hanno un bagaglio di tecnica enorme ed un'eleganza che potrebbero passeggiare nelle passerelle di moda e mandare affanculo la Naomi Campbell di turno, lui fa della forza fisica e del tempismo le sue armi principali. Tuttavia, pur cambiando l'importo degli addendi, il risultato è lo stesso, stiamo comunque parlando di un top player dalla solidità difensiva impressionante che raramente incappa in cartellini o in altre sanzioni disciplinari di vario genere.

Ebbene, a cavallo del 2001/2002, il Manchester United versa in una difficile situazione finanziaria. Il “da-poco-Sir” Alex Ferguson, allenatore con deleghe ufficiose/ufficiali a livello di mercato, deve vendere giocatori per rimpolpare le casse della società. Ha l'imbarazzo della scelta, anzi no, delle scelte.
Giocatori esperti ormai a fine corsa che potrebbero comunque esser venduti a prezzi elevati in campionati dal minor fascino, giovani promesse da girare ai top club spagnoli, giocatori di punta nel pieno delle grazie con cui fregare qualche Cragnotti o Moratti della situazione. Vero è, però, che alcuni dovrebbero rimanere intoccabili e tra questi dovrebbe esserci anche Stam, il centrale intorno al quale ruota la retroguardia dei Diavoli Rossi.

C'eravamo tanto amati

Dovrebbe, perché a quanto pare non è così intoccabile come pare a tutti, dagli addetti ai lavori all'ultimo degli uomini della strada. Il Manchester United riceve l'offerta della Lazio di Cragnotti, quasi l'equivalente di 18 milioni di sterline. Fergie fa i conti della serva:”Dunque, vediamo, Stam torna da un infortunio ai tendini di achille, non sarà più quello di una volta, ha già ventinove anni... 18 milioni di sterle? Mmm... dov'è che devo firmare?” ed immediatamente telefona a Jaap, il quale in quel momento si trova dal benzinaio. L'allenatore intima di aspettarlo lì, lo raggiunge e gli spiega la situazione. Stam realizza che è ora di voltar gallone, che se Sua Maestà Alex Ferguson gli sta chiedendo di andarsene proprio lì, davanti ad una pompa di benzina, allora non c'è nemmeno bisogno di pensarci.
Arrivederci e grazie, l' affare si chiude a 13,5 milioni di sterline: Jaap Stam diventa un giocatore della Lazio.

Déjà vu derby style

Col senno di poi Ferguson sarebbe arrivato a pentirsene, ammettendo il suo grande errore, forse l'unico che mai abbia riconosciuto. Aveva l'imbarazzo della scelta, riuscì a sbagliare. E, cosa curiosa, ma d'altro canto è il fil rouge dell'articolo, ci andò nuovamente di mezzo Stam.

Due botte no, eh?


FORSE NON TUTTI SANNO CHE

Nella Lazio del 2001 giocano calciatori con cazzi e fantacazzi che hanno portato a Roma il secondo Scudetto della loro storia, la Coppa delle Coppe e la Supercoppa europea, vinta proprio contro gli “Invincibili” del Manchester United.
Tutto ok, non fosse che c'è un problema: il presidente Cragnotti è fondamentalmente un bandito e le tribolate vicissitudini societarie stanno sempre più influenzando i rendimenti di una squadra che sulla carta avrebbe ben pochi rivali non solo in Italia ma anche in Europa.
Stam fa in tempo ad arrivare prima che il giochino si rompa, o meglio, ha la grossa fortuna di incontrare sulla sua strada Roberto Mancini, allenatore che prende in gestione i biancocelesti a partire dalla fine del 2002. La Lazio termina quarta disputando un campionato di tutto rispetto e sfiorando traguardi importanti come le finali di Coppa Italia e Coppa Uefa (semifinale persa contro il Porto di un allenatore allora sconosciuto ma che avrebbe ben presto fatto parlare di sé: Josè Mourinho).

Sapeva anche essere supersimpa

Ora apriamo una parentesi graffa, che vi spiego come io e il coautore del blog siamo entrati in contatto.La nostra amicizia, nonostante possa ormai annoverare numerose esperienze di livello altissimo (l'esempio del Carrefour di Massa-Carrara ne è l'ultimo fulgido esempio), è paradossalmente relativamente giovane. 
Sebbene i più credano che sia stato il Noto PITTORE Emiliano Emanuel Gavioli ad averci introdotto l'un l'altro, in realtà “the story so far” ha inizio grazie all'insospettabile Tommy Panini (col quale condivido la miglior chat Wazzup che abbia mai avuto e che mai potrò avere) che, nella torrida estate del 2004, mi chiede in prestito un libricino uscito con La Gazzetta dello Sport, dedicato a Roberto Mancini, che avevo acquistato perché ho sempre adorato il Mancio e volevo saperne di più sulla sua carriera di giocatore.

Daje de tacco, daje de punta, Robbè!

Con fare molto alla “Soul Goodman” il bravo Panino mi dice che conosce qualcuno che conosce qualcun'altro -di fede blucerchiata-, cui questo libricino potrebbe interessare molto. Non mi informo riguardo chi sia e glielo consegno, a Tom presterei anche le chiavi di casa mia.
Avrei imparato anni dopo che quel libricino di cui m'ero pure scordato il nome e che credo d'aver perso da qualche parte in solaio, era destinato a Santu. Forse non lo sapevate, o meglio: di sicuro non lo sapevate, dato che anche io l'ho scoperto da poco. #icazzidellavita


Ecco, dovete sapere che nel 2003/04 il Mancio guida una Lazio disastrata alla conquista della Coppa Italia. Non è più la squadra “outstanding” di qualche anno prima, sulla carta ne è sola una brutta copia, ha perso parecchi pezzi pregiati, venduti ai grandi club di Nord Italia ed Europa. 
È cosa nota che il declino laziale sia inesorabile, che tutti i giocatori di valore abbandoneranno la nave prima che questa naufraghi nella bancarotta e s'areni nelle secche della media classifica.

In quel libricino c'è la risposta alla domanda che tutti s'erano fatti in quella stagione. Come diavolo aveva fatto Mancini a traghettare la squadra in piena burrasca, finanche a condurla alla conquista della Coppa nazionale?


L'allenatore jesino spiegava, con un'estrema semplicità di ragionamento, d'aver fatto un discorso molto schietto ai suoi ragazzi, cui aveva detto che alla fine della stagione in corso o di quella immediatamente successiva, la Lazio sarebbe andata in malora e i giocatori l'avrebbero seguita a ruota. Tuttavia c'era un modo per garantire a ciascuno di questi un futuro se non radioso quantomeno sereno: dovevano giocare al meglio delle loro possibilità. Qualora avessero disputato un buon campionato o vinto qualcosa, i club in salute avrebbero fatto a gara per acquistarli e avrebbero promesso loro un lauto ingaggio, cosa che, di contro, non sarebbe stata possibile se la Lazio avesse fatto cagare. In quel caso i giocatori sarebbero stati svenduti per un tozzo di pane al primo scemo di guerra che avesse avanzato una proposta e gli stipendi non sarebbero stati corrispondenti alle attese sperate.

Per il folklore non si può non postare questo video.

Notare Paolo Negro


SEI MINUTI DI SUICIDIO E FOLLIA

Giocoforza su Stam mettono gli occhi i Campioni d'Italia del Milan che con l'acquisto dell'olandese allestiscono una difesa straordinaria. Al suo fianco gioca infatti Alessandro Nesta (anche lui ex-Lazio), mentre sulle fasce i due nonni Cafu e Maldini hanno ancora la classe per dire a tutti "come si fa".
Il Milan, si sa, è squadra dal DNA europeo, e nel 2005 deve togliersi qualche sassolino dalla scarpa dato che l''anno precedente è stato rocambolescamente scaraventato  fuori ai quarti di finale dal Deportivo La Coruna: 4-1 a Milano per i Rossoneri, 4-0 per il Depor al Riazor e tanti saluti alla coppa dalle grandi orecchie.

A me pa' ch'i fan 'posta

Comincia la Champions, appuntamento di gala per il Milan, che passa il girone in carrozza, butta fuori lo United agli ottavi, supera l'Inter ai quarti e pesca il PSV in semifinale. Di tutte le squadre contro cui i rossoneri avevano giocato in quella competizione, il PSV è apparentemente la più triste di tutto il lotto. Ma... com'è che si dice? Mai vendere la pelle dell'orso prima di averlo preso: eggià.
Il PSV è l'underdog del torneo, una squadra equilibrata dalle buone individualità ma, soprattutto, non molla nemmeno venti centimetri. Ultimo ma non ultimo, è allenata dallo stregone Guus Hiddink.

A San Siro pare una passeggiata, il Milan vince con un perentorio 2 a 0 e il risultato ha tutta l'aria del "game, set and match". Tuttavia ad Eindhoven quella vecchia volpe di Cocu e quel coreano del cazzo di Park rimescolano le carte in soli venti minuti, portando il risultato sull'aggregate di 2 a 2. Si materializza il fantasma del Natale passato, sembra un'altra La Coruna, un altro Riazor. Poi, perchè il Dio del pallone aveva in mente una sceneggiatura tragicamente spettacolare, muove i fili perché Massimo Ambrosini al 90' inzucchi il pallone che vale doppio. Il Milan è a Istanbul, e il 3 a 1 che l'affascinante Philippe Cocu segna appena due minuti più tardi sembra non valere niente, ma in realtà, per come la vedo io, vale come una maledizione senza perdono, un vae victis da cui i rossoneri non si sarebbero mai guardati abbastanza.

Mazzimo Ambrozino, gran centrale di sbattimento

Allo stadio Ataturk di Istanbul si presenta il Liverpool di Rafa Benitez, all'apparenza una squadra di scappati di casa che però ha asfaltato tutti i rivali che ha incontrato on the road to the final: Bayer, Juve e Chelsea, quest'ultima sconfitta con quello che Mourinho definì come l'unico gol mai segnato da una tifoseria, un gol fantasma di Luis Garcia che l'arbitro molto probabilmente convalidò solamente perchè la Kop decise che il pallone era entrato.


Passano 53 secondi e pare avere inizio una delle più belle favole rossonere mai scritte prima: segna Paolo Maldini, il Capitano di lungo corso, uno che, contando anche tutte le amichevoli, comprese quelle giocate da bambino nel cortile di casa, doveva aver collezionato una decina di gol a star abbondanti. Crespo va in rete due volte e chissenefrega che a Shevchenko venga annullato un gol per fuorigioco, all'intervallo il tabellino parla chiarissimo: 3 a 0 per il Milan.

Il Diavolo ha -l'avrete capito, cambia il testo ma la musica no- l'imbarazzo della scelta, anzi, delle scelte. Può far quello che vuole, tanto non s'è mai vista una squadra rimontare tre gol in una finale di Champions League, per di più avendo a disposizione solamente un tempo e contro undici fuoriclasse che quando toccano il pallone sembra che questo canti, suoni e dica le poesie. Il Milan può continuare ad attaccare, amministrare il vantaggio, sequestrare il football, barricarsi in difesa tenendo bocca e gambe chiusi. Solo una cosa non sa di dover fare: dare per morto il Capitano dei Reds, Steven Gerrard, il cui happy ending finale non pare andare a genio.

Se Inglorious Basterds m'ha insegnato qualcosa è che se avessi fatto "il tre" così qualche guerra prima, i Nazi avrebbe trovato qualcosa da ridire

E difatti al nono della ripresa è proprio l'otto in maglia rossa ad accorciare le distanze, e improvvisamente all'orizzonte del cielo di Istanbul s'addensano nuvolaglie nere: la tempesta è in arrivo, Signor Wayne. #catwomanèsemprestata'naputtana

Quel che credevi raccolto arriva il vento a strapparlo
Non puoi più decidere, non puoi più decidere cosa sarai

Ricordo bene quel momento.
Esco dal pub per fumare. Torno dentro e non credo ai miei occhi, a quei grandissimi figli di puttana è riuscito l'impossibile e gli è riuscito in un amen, in soli sei minuti, neanche il tempo di una sigaretta. Il mio amico Checco, tifoso super partes, non sa cosa dirmi, e forse, come me, ricorda quello che era solito dire il nostro Professore di Chimica del Liceo (no, non era Walter White, per fortuna o purtroppo) quando a niente dalla campanella finale redarguiva chi era disattento:”Mancano ancora cinque minuti: abbiamo una vita davanti!”

Ma vaffanculo, va'.

Un'altra cosa ricordo perfettamente: la faccia di Paolo Maldini durante la premiazione e quella dei miei amici non milanisti nel vedermi sottoterra.
Il Milan doveva solamente scegliere cosa fare per conservare il vantaggio ma non ne era stato in grado. La cosa buffa fu che ancora una volta l'l'imbarazzo delle scelte sbagliate aveva travolto Jaap Stam.
La morale è che per quanto nel calcio, come nella partita a Risiko di Berta, si creino situazioni inequivocabilmente favorevoli, può non bastare e ciò che deve accadere accade, che sia il cucchiaio di Totti, una scriteriata scelta di Alex Ferguson o la mattana di Steven Gerrard. E Jaap Stam ne sa qualcosa.

Boh, vabbè.

PAYBACK DELL'AUTORE

Potrei terminare qui questa enciclica papale ma m'è salita la carogna, indi per cui chiudo il cerchio riportando alla vostra attenzione una partita che ho solo fatto finta di tralasciare.

Roma, 5 Maggio 2002.
All'Olimpico 40mila tifosi nerazzurri sono straconvinti di assistere alla passerella che porterà i nerazzurri a rivincere lo Scudetto dopo cinquecento anni, per una volta senza aver rubato nulla a nessuno. La Lazio è deconcentrata e demotivata, l'Inter non può perdere, ha solo l'imbarazzo della scelta di cosa e come fare per vincere, è troppo più forte della Lazio, i cui giocatori sono già in vacanza e ai cui tifosi non frega un cazzo di niente.
Strano ma vero, o forse no, quel 5 Maggio giocava anche Stam, ma almeno quella volta era dall'altra parte della barricata delle scelte sbagliate.


Sucare fortissimo, fat boy!


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