O'REY DE CROCEFIESCHI


'Siete mai stati ad Arquata Scrivia in provincia di Alessandria?
Beh, se accettate un consiglio non andateci mai: uno di quei posti di merda, ma di merda, ma d’un di merda che al confronto La Sacca a Novembre quando piove di traverso alle 4.30 pm local time sembra una risposta più che decorosa degli archistars modenesi a Beverly Hills.


 A me è capitato di visitare la Valle dello Scrivia e le sue incredibili nefandezze naturali e artificiali (ecomostri che sorgono sui calanchi argillosi tutti intorno) per una serie di particolari coincidenze, le quali lo stesso giorno mi hanno fatto transitare davanti all’uscita autostradale di un paese il cui nome, Crocefieschi, ha avuto (almeno!) il non tralasciabile merito di portarmi alla mente uno dei più grandi bomber del calcio italiano: Roberto Pruzzo.


"Perché questo collegamento?" vi starete domandando.
Beh, rispondervi è cortesia.
Roberto Pruzzo portava un soprannome curioso:"O' Rey de Crocefieschi", pseudonimo in nessun modo riconducibile a lui se non per l'insolito nome del paese di provenienza. 
Essendo stato Pruzzo un grande uomo-Roma, io ho sempre erroneamente pensato che Crocefieschi fosse, che ne so, un borgo delle colline umbre, o un paesino sperduto sull'Appennino Abruzzese, insomma, una minuscola colonia imperiale dell'hinterland romanesco, quando invece si trattava di un Comunello dell'entroterra genovese che aveva dato natali e generalità a quello che a Roma è tutt'oggi ricordato come "Il Bomber".

Per quindi decido di lanciarmi in un inaspettatamente appassionata indagine dell'avanti genovese e scopro che oltre che per il soprannome da boss sudamericano della malavita mal-organizzata, merita di comparire sulle pagine degli 11IS perché nonostante record, primati assoluti, trofei alzati e/o clamorosamente mancati, è parso sempre protetto da un Dio minore e vincolato esclusivamente ad un secondario ruolo di attore non protagonista del calcio del tempo.
Dovessi paragonarlo ad un illustre sconosciuto del cinema, senza indugio direi Michael Madsen, il Budd di Kill Bill Vol.2, tanto per intenderci.

Roberto Pruzzo debutta nel Genoa alla tenera età di 18 anni, mostrando fin da subito chiari segni di predestinazione della sua brillante carriera futura.
A Genova sponda rossoblu vive infatti grandi annate in termini di rendimento personale, che purtroppo però s'alternano a stagioni altalenanti sul fronte dei campionati, divisi tra Serie A mediocri (per non dire "del cazzo") e cadetterie arrembanti dove segna caterve di gol quasi giocasse nei prati di casa.

Con i rossoblu si toglie due gigantesche soddisfazioni.
Innanzitutto timbra il cartellino dei sogni nel cassetto divenuti realtà segnando il suo primo gol nella massima serie e, per inciso, biffando contro quella che sarebbe diventata la sua seconda squadra nonché la sua patria adottiva, ovvero l'AS Roma Caput Mundi.
La seconda, e me ne vorrà a bestia il mio socio in affari del presente blog (che dopo questo nefasto amarcord chiederà divorzio, affidamento dei figli e alimenti), è vendicare la fucilata di Sabbatella che un quarto di secolo prima aveva confinato i Grifoni in Serie B, restituendo il favore alla Samp con un sontuoso e micidiale colpo di testa nel derby.
È con quella rete fratricida che Pruzzo rinchiude il Baciccia (e tutti i ciclisti blucerchiati al seguito) in una prigione ben peggiore delle carceri del quartiere Marassi, ed è sempre questo a garantirgli una popolarità esagerata, in fondo quella che più conta, vale a dire quella dei Bar di Genova e dei suoi frequentatori che, volenti o nolenti, s'imbattono nella foto dell'inzuccata dell'attaccante genoano in bella mostra sopra al bancone di ogni locale qualificabile come un po' più che di merda.


Nel clou degli anni di piombo, Roberto da Crocefieschi lascia l'eversivo capoluogo ligure alla volta della capitale, la criminosa Roma, abbracciando la causa giallorossa per la cifra record di tre miliardi di vecchie lire e un maxiscambio che porta -seppur per un breve periodo di tempo- il futuro Campione del Mondo Bruno Conti al Genoa.
È una lupa ancora giovane, una lupacchiotta di basso profilo ma che cova ambizioni da Grande Squadra, le quali, dopo un iniziale periodo di forte sbandamento, non verranno disattese, concretizzandosi nello Scudetto dell'82/83, nella vittoria di quattro Coppe Italia e in una finale dell'allora Coppa dei Campioni persa contro il fortissimo Liverpool del pagliaccio Grobbelaar.

Ora: tutti sappiamo come le misure a Roma necessitino di un'adeguata proporzione perché possano essere valutate col giusto peso.
Come è vero che quattro Coppe Italia non sono tanta roba, non lo sono mai stata, né lo saranno mai (e questo indipendentemente dal fatto che Mourinho abbia -praticamente da solo- riqualificato e rivoluzionato la competizione rendendola ufficialmente TITULO, e inserendola per non-si-sa-bene-quale-diritto nell'ormai sbiadito ricordo nerazzurro della Triplete, il cui giusto nome sarebbe "doblete +1") un Tricolore ed una finale europea persa rappresentano qualcosa di straordinario se riferito al club capitolino.
È vero oggi, ed era vero allora, al di là del fatto che quelli siano stati anni strani e ricchi di episodi, coincidenze ed eventi irripetibili (vedi Preben, o vedi Re Cecconi).

La Roma fino ad allora aveva vinto un solo campionato, oltretutto nel 1941 (anno di guerra: tempi bui e sconclusionati su cui mi son ripromesso di ritornare) e quello che avrebbe vinto con Pruzzo sarebbe stato il secondo. Giusto per dare una profondità numerica che abbia un senso empirico, e anche un po' per venire incontro alle vostre limitate capacità di comprensione, la Roma vantava un solo scudetto a fronte di un Milan "stellato" nel 1979 e le due della Giuve, certificate con la vittoria dello Scudetto del 1981/82.
Sì, è vero, anche l'Inter aveva raggiunto la stella qualche lustro prima, nel 1966, ma se c'è una cosa che mi ha insegnato Santu (oltre all'importanza del rinfocolare la balla con metodo, costanza e sano entusiasmo) è quella di non seguire il calcio minore, per cui le vittorie delle merde diventano ininfluenti al fine di qualsiasi discorso.

Stiamo parlando della Nuova Roma di Dino Viola, presidente ligure (guarda un po'!) che recupera una squadra sbracata con la seria intenzione di trasformarla in una corazzata con la quale osteggiare il vento del Nord che pure allora soffiava tra Torino e Milano.
Dopo aver scongiurato il rischio retrocessione (a salvarla fu proprio un gol pesantissimo del neo-acquisto Pruzzo contro l'Atalanta nel 1979), la Roma allenata dal cavallo di ritorno Nils Liedholm e presieduta da Viola, spicca una delle più belle parabole mai disegnate nella storia del calcio, volando fino ai vertici di Serie A ed Europa.

Arrivano a Roma alcuni omini di sicuro avvenire e altri dal passato usato e garantito. Da Parma un centrocampista di belle speranze di nome Carlo Ancelotti, da Torino l'esperto Benetti e da Catanzaro il vecchio lupo di mare Turone. A questi s'aggiunge Bruno Conti, mollato senza troppe feste dal Genoa cui era precedentemente stato prestato.

Quella del '79/80 è una Lupa indemoniata che disputa un campionato formidabile, mandato autenticamente a puttane nelle sole tre partite finali dove perde con l'Ascoli in casa, con la Fiorentina fuori e con la Juve, la stessa con cui s'era contesa per tutta la stagione il secondo posto, sempre in campo amico. Finisce settima, piazzamento pochissimo onorevole, considerando il brillante campionato giocato, ma non c'è niente da buttare e, soprattutto, son state prese le misure ai futuri avversari.
Oltre a questo va segnalata la vittoria della Coppa Italia contro il Toro ai rigori, grazie ai prodigiosi interventi di Franco Tancredi.
O'Rey de Crocefieschi inizia a far parlare di sé, e non solo per aver segnato nel disgraziato derby di Paparelli, quello che, poveretto lui, si beccò un bengala direttamente in faccia, ma anche e soprattutto per la facilità nel segnare, specie nei match che contano, caratteristica, questa, mai troppo scontata.

'80/81, scoppia il caso del Totonero.
Di per sé questo è irrilevante (la storia la conosciamo, ne fanno le spese Lazio e Milan retrocesse direttamente in Serie B e, come disse quell'indimenticabile figlio di sette puttane di Peppino Prisco a proposito del Diavolo:"una volta pagando, e l'altra gratis"), ma se il campionato italiano ne subisce dapprima un contraccolpo fortissimo, immediatamente dopo vive un periodo di fiorente rinascimento. 
Questo fenomeno inspiegabile del tutto italiano -privo di ogni logica- prevede che di fronte ad una batosta di dimensioni bibliche, il paisà ne esca sì con le ossa rotte, ma anche con il vestito della festa e un atteggiamento incredibilmente propositivo verso presente e futuro.
Provo a spiegarmi meglio.
A causa dello scandalo scommesse, l'Europa punisce la Serie A dimezzando il numero di posti disponibili per le squadre italiane in Coppa Uefa, di conseguenza il torneo perde di fascino e decade.
Lo spread viene però ridotto dalla FIGC che introduce la possibilità di ingaggiare uno straniero ed uscire dall'autarchia calcistica che voleva squadre italiane composte esclusivamente da italiani, così da suscitare nuovo interesse e rianimare un po' la bagarre .
Giusto per la cronaca, sempre perché non siamo un popolo che si fa prendere la mano, l'anno successivo gli stranieri diventano già due.

Ed ecco il ritrovato glamour della Serie A: il campionato in questione diventa un'appassionante corsa a quattro tra Juve, Inter, Napoli e Roma, che si risolve alla terzultima giornata, con quello che è passato alla storia come Er Go' de Turone.
La Roma aveva approfittato subito della nuova regola dello straniero e aveva acquistato lo sconosciuto mediano brasiliano Falcao.
Grazie ai suoi lanci e agli assist di Conti, il nostro O'Rey segna any given sunday e porta i giallorossi a giocarsi lo Scudetto il 10 maggio a Torino contro la Juventus di Bettega, che si trovava davanti alla Roma di un punto, quando mancavano solo due giornate dalla fine.
Al 75' con il risultato ancora inchiodato sullo zero a zero, Conti lancia dalla trequarti campo direttamente in area, trova la testa di Pruzzo che sovrasta Prandelli (sì, proprio lui, il nostro C.T.) e appoggia al primo uomo vestito dei suoi stessi panni, nella fattispecie Falcao, il quale però è fuori tempo e non riesce a colpire il pallone.
La pelota però continua il suo ineluttabile volo fino a trovare l'incornata della corrente Maurizio «Ramon» Turone che beffa Zoff e porta la Roma in vantaggio a soli 15 minuti dal termine dell'incontro. 


 Il gol di Turone, anzi, Er Go' de Turone, come ancora lo chiamano a Roma, viene annullato dall'arbitro Paolo Bergamo per fuorigioco che definire dubbio è un bell'eufemismo.
La Juve vince il campionato, la Roma rivince la Coppa Italia e arrivederci all'autunno successivo.
Servono ancora tempo e paglia, vincere un campionato è come fare un buon caffé, sembra facile ma non lo è.
Ad ogni modo O'Rey de Crocefieschi vince il suo primo titolo di capocannoniere.

'81/82. Anno di transizione per la Magggica che chiude terza senza arte né parte. In compenso Pruzzo è di nuovo pichici, ed è ormai chiaro come lo schivo ragazzo ligure trapiantato nell'Urbe sia da considerarsi un bomber di razza ed un attaccante completo, bell'e che fatto. È un pensiero comune e diffuso, tuttavia non è condiviso da chi dirama le convocazioni per il Mundial, ossia Bearzot che addirittura chiama l'unico calciatore mai nato in Basilicata (certfiicando pure che la Basilicata esiste veramente), ossia Franco Selvaggi e perfino il giovanissimo Daniele "Provvidenza" Massaro, all'epoca ventunenne, tanto per dirne due che fecero le scarpe a O'Rey. Non ho la benché minima idea del perché der Bomber der Nation non fosse tra i convocati, mi posso solo basare sull'opinione di mio padre che ha sintetizzato la decisione del Vecio con un secco:"Perchè Pruzzo giocava per i cazzi suoi", che, a corti discorsi, mi sembra come bere un vino vecchio: un'idea buona per tutte le stagioni.

'82/83. A Roma arrivano lo Zar Vierchowod, il biondo Prohaska dall'Inter, il capocannoniere cadetto Iorio dal Bari, Maldera dal Milan e Nappi dal Perugia dei Miracoli, squadra soprannominata così perché nel '78/79 s'era piazzata seconda senza perdere nemmeno una partita, prima squadra nella storia della Serie A a riuscire nell'impresa. Giusto per il folklore, artefici di quella cavalcata furono l'allenatore Ilario Castagner e un giovane dirigente destinato a diventare Silvano Ramaccioni del Milan degli Invincibili.


Liedholm arretra in posizione di libero il capitano Agostino Di Bartolomei (un altro su cui si potrebbe scrivere tantissimo, se in tantissimi non lo avessero già fatto), non certo un ercole, ma fosforo al servizio di difesa e ripartenze, grazie a cui la Roma trova la definitiva quadra, perde tre partite in tutta la stagione e vince il campionato in carrozza.
La partita cruciale -e voi potete credere al caso ma lasciatemi dissentire che io ai miei misteri della fede ci tengo- si gioca a Genova (e dove sennò?), laddove tutto -se prendiamo Pruzzo come pietra d'angolo- era cominciato.
Chi segna il gol decisivo allo stadio Ferraris, quello che regala il tricolore ai giallorossi?
Sì, non è difficile, l'articolo parla di lui.
L'8 maggio 1983 la Roma si laurea per la seconda volta nella sua storia Campione d'Italia.
La vittoria viene festeggiata dalla popolazione giallorossa dell'Urbe in modo sobrio e distaccato, come solo i romani sanno fare, i quali si riversano a frotte e palate al Circo Massimo per cantare insieme ad Antonello Venditti quelli che da allora in avanti sarebbero diventati gli inni pasionari della squadra: Grazie Roma e Roma Roma Roma.


'83/84. Via Vierchowod, Prohaska e Iorio, tutti e tre determinanti nel precedente Scudetto, arrivano a Roma Cerezo e Ciccio Graziani, ex bandiera torinista. La Roma di Dino Viola mette in bacheca un altro trofeo, la Coppa Italia vinta contro un sorprendente Verona, ma è qualcos'altro che, incredibilmente, manca.
Non si tratta del tricolore vinto dalla Juve di Platini, ma della Coppa dei Campioni cui si è fatto cenno prima. Dopo essersi sbarazzata del Goteborg campione di Svezia since 1785, e delle squadre di Oltrecortina CSKA Sofia e Dinamo Berlino, la Roma va in Scozia per giocarsi la semifinale contro il Dundee United. Tuttavia prende due scoppole ed è chiamata alla remuntada, la quale, grazie a due gol (tanto per cambiare) di Roberto Pruzzo si materializza con il rigore del 3 a 0 del Capitano di Bartolomei. I giallorossi volano in finale, e non devono neppure muoversi troppo dalla Capitale dato che si gioca all'Olimpico. Avversario è il Liverpool, giunto alla sua quarta finale consecutiva, un enorme spauracchio cui la Roma tiene testa per tutta la durata dei tempi regolamentari e dell'extra time, con un 1 a 1 cui a referto, sempre per la serie "nova", va Roberto Pruzzo.

Ai rigori però Grobbelaar incanta tutti come la strega cattiva dei Fratelli Grimm, e i romanisti Conti e Cicciograziani sparano pallate a casaccio, costringendo la Roma alla resa. 


Come direbbe Giorgio Clooney:"iMagina!"; davvero, ve la immaginate una Roma in finale di Coppa Campioni all'Olimpico che manda tutto alle ortiche? Io no, son sincero, mi meraviglierebbe anche solo vederla in semifinale di Europa League.

'84/85. "Qualcosa s'è rotto" è una frase che è solito usare il mio amico Luca Ricchi, e spiega benissimo quanto avviene nello spogliatoio giallorosso in seguito ai maledetti rigori della finale persa. La Roma attraversa un'orrenda annata di transizione, traghettata da un allenatore che si rivelerà molto bravo, ma che ha la colpa di capitare al posto sbagliato nel momento sbagliato: Sven Goran Eriksson. I giallorossi finiscono settimi in campionato e gl'è tutto da rifare.

'85/86. La Roma si rimbocca le maniche, Pruzzo segna 19 gol (diventando capocannoniere per la terza volta nella sua carriera: non male!) e sulle ali di un ritrovato entusiasmo, 'a Magggica recupera nove punti sulla Juve, la schianta per tre a zero all'Olimpico e si gioca il tutto per tutto alla penultima giornata in casa contro il Lecce già retrocesso. In vantaggio di due reti e con praticamente mezzo Scudetto in bisaccia, la Roma si suicida sportivamente, e rocambolescamente insacca tre gol, regalando il titolo alla Juventus.
Tutto si può dire dei Gobbi, meno che non siano al posto giusto quando è il momento di aver del culo, o quando qualcuno dall'altra parte è inguaiato e sta trovando un sistema per mettere pari qualche debito. 


Contentini di stagione: ennesima Coppa Italia e pokerissimo di Pruzzo contro l'Avellino. 
Prima che Trevisani importasse dalla Liga il termine MANITA, gli italiani usavano chiamare 5 gol segnati nella stessa partita POKERISSIMO. Bene, O'Rey è l'ultimo giocatore italiano ad aver segnato una manita o un pokerissimo, che dir si voglia, in una partita di Serie A.
Nemmeno il titolo di bomber e le cinque sberle rifilate una via l'altra ai campani mettono in evidenza Pruzzo agli occhi del Vecio, il quale, per la seconda volta, non lo convoca in Nazionale.

'86/87. Anno di merda per la Roma.
'87/88. Altro anno di merda per la Roma, e a fine stagione Pruzzo va a Firenze.
'88/89. La Roma arriva settima, a pari punti proprio con la Fiorentina del grande Ex. 
Questo significa spareggio in quanto il settimo piazzamento dà diritto dà diritto ad un posto in Coppa Uefa.
La sfida si gioca al Curi di Perugia, a media via. Vince la Fiorentina per 1 a 0, indovinate con gol di chi? Esattamente: O'Rey de Crocefieschi, lo specialista dei gol pesanti che chiude così una specie di triangolo magico: Genova-Roma-Firenze.
Ancora più bello è dire da chi venne fatto realizzato l'assist per Pruzzo: si trattava di un giovane fantasista di nome Roberto Baggio.


Quando mi son imbattuto nella storia di Roberto Pruzzo, non pensavo che questo resoconto annuale dei campionati italiani sarebbe stato il risultato finale. 
Non sapevo bene come intrecciare tutte queste storie di cui avevo solo sentito parlare, e con quale filo legarle tra loro; se cercare una morale di fondo, o trovarne un significato complessivo.
Quel che mi è rimasto di tutte queste fole è la straordinaria costanza di un bomber di razza entrato di sicuro nella storia della Roma, ma rimasto confinato in una specie di limbo calcistico che lo ha trattenuto dal divenire un calciatore leggendario. 
Paolo Rossi lo abbiamo redento perché è stato il Pablito Mundial, ma quello che ha fatto prima, durante e dopo (senza contare della sua competenza come commentatore SKY)?
Provate a cercare letteratura su Roberto Pruzzo: ne troverete pochissima e, quel che è paradossale, ancora meno è quella che lo lega a Roma. 
E pensare che prima di Totti è stato il più prolifico goleador romanista.
Lasciato fuori dai Mondiali del '82 quando aveva tutte le carte in regola per andarci, schivato da quello dell'86 per ragioni chiare solo al Dio del pallone che quel giorno s'era svegliato dalla parte sbagliata del letto, e uscito sconfitto da una finale di Coppa Campioni, in quello che avrebbe potuto essere ricordato e tramandato come il più glorioso trofeo alzato da una squadra italiana, se non altro perché le coppe che contano è raro che le alzino sotto da Parma, specie se hanno le grandi orecchie.

E non è solo questo, ma anche il come abbia attraversato diverse epoche calcistiche imbattendosi di volta in volta in protagonisti e in epopee diverse, segnando in ogni campo reti pesantissime e di valenza storica.
C'è chi è passato alla leggenda del football pur avendo segnato pochissime reti cruciali, se non addirittura una sola (che ne so, sparo? Fabio Grosso). E ci sono squadre che sono state immeritatamente dimenticate dal grande calcio nonostante vittorie e sconfitte memorabili consegnate direttamente alla storia.
Una di queste è stata senz'altro la Roma di Roberto Pruzzo "O'Rey de Crocefieschi", uno dei più grandi attaccanti italiani di tutti i tempi. 


Abituati, come siamo, a Gilardino, Osvaldo, Pazzini, Matri e Borriello, mi sembrava giusto menzionarlo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Scusa ma non capisco perché hai trovati Arquata cosi di merda ma di merma come dici tu....
io abito qui da Trentasette anni e non vorrei mai allontarmi da qui...
ho tutto e le mie bimbe crescono ancora con quel atmosfera da paesello che forse tu non conosci...
abbiamo tutto possiamo spostarci dove vogliamo con grande comodità....
non ci manca veramente nulla...
ti invito a ripassare saro felice di farti conoscere il mio paese...
Federico

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