HOW TO DISAPPEAR COMPLETELY

Avete presente quelle mattine di hangover?
Esistono quattro rimedi al problema.
  1. Vomitare: solitamente il più efficace, ma il gesto deve espletarsi al momento giusto e se si arriva fino a mattina senza averlo fatto, l'è péz dàl péz. Andava fatto prima.
  2. Un Oki. Però è roba chimica, vallo a sapere cosa realmente accade nel tuo corpo, vatte' a fidà.
  3. Corsa & doccia: spesso funziona, il più è entrare nel mood dell'uscire di casa e cominciare a mettere un piede davanti all'altro e sentire il retrogusto di rum ad ogni respirone.
  4. Berci sopra una birra, o per lo meno questo è quello che dice sempre Kiki.
Per i più coraggiosi ce n'è un quinto: farsi un caffè e sperare che questo inneschi un meccanismo per cui la sbronza passi, e passi dal culo, sì, insomma mi avete capito. Se va di lusso, everything will be in its right place. Sennò sarà un sabato pesante, pesante come una pezza di Marcuzzo.

Ecco un buon esempio di risveglio di merda, grazie Berta.

Beh, una mattina così di non troppo tempo fa mentre sperimentavo il quinto sistema attendendo che il mio stomaco facesse la sua parte, l'unico pensiero che mi ronzava in testa era:”come sarebbe bello, in questo momento, scomparire del tutto”. Come si dice? Volatilizzarsi, smaterializzarsi. Ecco, più o meno.
Proprio in quell'istante il collegamento neurale (particolarmente discutibile) è stato verso una canzone che si chiama proprio così, anche se il titolo non è in italiano.


Non che conosca bene o apprezzi in particolar modo questa canzone, specie perché facente parte dell'album Kid A, che a me, come ho sempre detto, non ha mai entusiasmato tanto. Per me, dopo Ok Computer, i Radiohead hanno fatto solo schifo (salva Idioteque) e How to disappear completely non fa eccezione. Tuttavia il titolo di questa canzone mi ha sempre colpito molto, per cui immediatamente dopo questo fenomeno di lost in translation, sono andato a cercare il video sul tubo e ho letto i commenti che presentavano il maggior numero di like.

Il secondo più apprezzato di questi è molto interessante e dice quanto segue.

A lot of people seem to be taking the meaning of this song as suicide, however I read in an interview article a few years ago that Thom was writing about a out-of-body experience he had one night he stayed in Dublin. I think thats why he says "thats not me" because he floated up out of his body, saw it below him and said "thats not me". Its also why he says "I float down the liffey" - for those of you who don't know the Liffey is the main river that runs through the centre of Dublin city,Ireland 

Traduzione non letterale (non da versione di latino, tanto per capirci).
“Molti credono che questa canzone parli del suicidio quando in un'intervista che io lessi tempo fa Thom diceva che questa canzone si riferisce ad un'esperienza extracorporea che lui dice di aver vissuto una volta a Dublino. Penso sia per questo che dice:”Quello non sono io”, proprio perché fluttuava fuori dal suo corpo come se lo vedesse da sopra. E sempre per questo dice anche:”Fluttuo sopra il Liffey” che, per chi non lo conoscesse, è il fiume che scorre a Dublino”.

Allora tra me e me ho pensato a quante canzoni straniere scartiamo dal nostro gusto solo perché non hanno una melodia orecchiabile, quando invece tra le righe dei loro testi nascondono significati profondi ed avvincenti.

Ci siete? Bene, ora che avete aggiunto tutto questo alla lista di cose di cui non vi frega un cazzo, seguitemi nella seconda connessione neurale (particolarmente discutibile).
Se il tema libero è COME SCOMPARIRE DEL TUTTO, la prima cosa che mi viene in mente, e non vedo come potrebbe essere altrimenti, è GAIZKA MENDIETA.


Nome strano, Gaizka. È basco, significa ed è il corrispettivo del nostro “Salvatore”. 
Curiosità fine a sé stessa? Non direi. 
Al tempo del folgorante Mendieta di cui andrò tosto a declamare, avevo registrato il mio primo account di posta elettronica: il mio pseudonimo era Gaizka81@hotmail.com, o qualcosa del genere. Sì, quelle cose che si fanno quando si è nerdz, quando si ha vent'anni, che, come dice Guccini “a vent'anni si è stupidi davvero”, o come dicono gli Zen Circus (anche se qui non c'entra un cazzo) “io quando avevo vent'anni ero uno stronzo”, che comunque per quanto mi riguarda era vero allora e rimane vero ora.


Se avessi saputo che GAIZKA stava per SALVATORE, col cazzo che avrei adottato questo nome da napulecchio trapiantato nei Pais Vasco.

Beh, Mendieta nasce nel 1974 a Bilbao, profondo nord della Spagna, nella regione autonoma dei Paesi Baschi. Tuttavia la sua carriera decolla da tutt'altra parte, agli antipodi iberici del Golfo di Biscaglia, ossia sul Mediterraneo.
Dopo aver fatto un po' di gavetta nella squadra satellite del Castellon, la squadra madre del Valencia Club de Futbòl decide che è giunta l'ora di affidargli le chiavi del suo nuovo ufficio (ovvero il centrocampo valenciano) nonché il titolo di Capitano indiscusso e il ruolo di leader assoluto.
Mendieta ringrazia e soddisfa le aspettative che gravano sul suo ruolo trascinando un bellissimo Valencia nella straordinaria temporada del 1999, in cui els ché vincono Copa del Rey e Supercoppa di Spagna. Gaizka gioca col 6 perché in realtà nasce difensore ma è Claudio Ranieri, suo primo allenatore a Valencia, a intravedere in lui qualità eccelse di rifinitore e a spostarlo avanti quei 10/15 metri che gli consentono di mettere a frutto la sua grande visione di gioco, la buona tecnica, un gran bel tiro e una discreta qualità nei calci piazzati.


Negli anni seguenti i ragazzi di Capitan Mendieta e Mister Cuper (l'hombre vertical che prende il posto del Mister romano) fanno passi veloci e dal peso specifico pazzesco in Champions League fino a presentarsi per ben due volte in finale.


Occhio, stiam parlando di una squadra stellare.
Un ibrido 4-3-3 di mirabile fattura.
Canizares
Angloma Pellegrino Dukic Carboni (o Gerardo)
Mendieta (C) Farinos Kily Gonzales
Gerard Angulo Lopez


È l'annata 1999/2000. Per la prima volta nella storia della Coppa Campioni, a disputarsi il massimo trofeo continentale accedono le prime quattro dei tre tornei europei più importanti, le prime tre dei tornei un po' meno importanti, e via a scalare. Le compagini spagnole fanno la voce grossa e stabiliscono due record in un colpo solo: presentarsi con tre squadre in semifinale e con due in finale. Mai successo prima, bravi loro, gli italiani combineranno la stessa cosa nel 2003 e gli inglesi nel 2008 (se la memoria non mi inganna), ma loro sono i primi a riuscirci: onore al merito.
A Parigi in finale ecco quindi il sempiterno Madrid e lo stupefacente Valencia.
Il Real picchia a man salva e Morientes, McManaman e Raul segnano uno via l'altro, inchiodando un secco tre a zero che lascia poco spazio ad eventuali discussioni di sorta.


Ma il Valencia non ci sta, l'anno successivo torna alla carica e arriva fino in fondo, cacciando fuori dalla semifinale una squadra di cui grazie a questo articolo ho ritrovato il ricordo: quei figli di puttana del Leeds (due nomi su tutti: gli inseparabili bontemponi Woodgate e Bowyer). 


Quello che li attende nella finale di San Siro è tuttavia un triste primato, ossia la seconda sconfitta consecutiva (questa volta contro il Bayern Monaco, e per giunta ai rigori), condiviso solamente da un'altra squadra cui qualche anno prima capitò la stessa sorte e, credetemi, ho il cuore a pezzi nel menzionarla: la Juventus nel '97 e nel '98 (an happy song by Borussia Dortmund ft Real Madrid)
Un attimo che devo immerdarmi la mano di sperma con il più bel gol in fuorigioco all times.


Per gli amanti delle statistiche vale dire che il Valencia detiene un altro misero record, anche questo in coabitazione con un'altra squadra, questa volta francese, lo Stade Reims. Si tratta infatti degli unici due club ad aver disputato più di una finale di Champions League senza averne mai vinte.

Torniamo sul pezzo.
Gaizka Mendieta, anche se uscito sconfitto da entrambe le finali, è un calciatore fatto e affermato, tra l'altro nominato pure (magra ma notevole soddisfazione) miglior giocatore della Champions League appena trascorsa e persa, ed è normale che il suo nome inizi a comparire sui taccuini dei dirigenti di mezza Europa, l'Europa che conta e che prova a vincere le coppe “per sul serio, per davéro”.
A Valencia, per dirla con Adele, Capitan Gaizka Mendieta è considerato one and only, il caudillo indiscusso ed indiscutibile cui tutta la Comunidad Valenciana si sente inestricabilmente legata a doppio filo. Gaizka è l'uomo del “date palla a me e correte ad abbracciarmi”.
Però come spesso succede la sostanza si vendica sulla poesia, e proprio dalle parti di Roma c'è qualcuno che sta per scatenare un butterfly effect, dovendo giustificare alcune cessioni illustri che non sono andate giù ai tifosi, già abbastanza nervosi per lo Scudetto appena vinto dall'altra squadra della Capitale.
Gli omini che il Presidente laziale Cragnotti deve rimpiazzare sono Sabastian Veron e Pavel Nedved e, se guardate l'11 qui sotto, capirete come i sostituti non potessero essere, che ne so, De Ascentis o Umit Davala. 


Serviva il colpo e non bisognava badare a spese.
Detto, fatto.
Nel luglio del 2001, per la cifra record di 90 miliardi, arriva a Formello nientepopodimeno che Gaizka Mendieta e i tifosi laziali ripongono in lui la speranza di dimenticarsi di un'altra zazzera bionda, quella del ceco Nedved, uno che di lì a breve avrebbe vinto il pallone d'oro, quindi non proprio uno sculaccianguille.
È vero che a volte chiodo schiaccia chiodo e l'ottimismo da spiaggia dei fan biancocelesti raggiunge livelli di guardia, ma è anche vero che la toppa è peggio del buco e infatti l'unica cosa che condividono i due è il colore dei capelli, cosa cui comunque è accomunato anche Eddi Cavani, per lo meno quello che ho visto io al Frignano la notte di Natale.
Ne va che, nonostante tutta l'Europa abbia stima di Mendieta, l'unica stima che lo accompagnerà alla fine della sua laconica vacanza romana, sarà quella dei danni causati alla Lazio.
Con un eufemismo si potrebbe dire che non procurò quelle emozioni che si sarebbero aspettate da lui per il primo ciak, ma per esprimerci più chiaramente è meglio andare in prestito del romanesco e parlarne come fanno da quelle parti:”Gaizka Mendieta fu 'na sola”.
Mister 90 miliardi si dimostrerà un bidone, collezionando venti anonime presenze e zero goalz.

Solo Kafka ha cercato di analizzare lucidamente il problema, e proprio al riguardo ha scritto “La metamofosi”, nella quale però è stato più clemente, nel senso che almeno i genitori del protagonista Gregor, una volta abbandonato il figlio a sé stesso, se ne dimenticano completamente e riescono pure a risolvere i problemi economici causati dalla sua trasformazione. La morale comunque è che non è individuabile un motivo chiaro per cui il personaggio, sia Mendieta o sia Gregor Samsa, si addormentino come ogni sera e l'indomani si risveglino mostri.


Ma nel caso di Mendieta la storia è più amara per papà Cragnotti perché non è facile disfarsi di un presunto fuoriclasse pagato una barca di soldi e dall'ingaggio faraonico; ha comprato fumo spacciato per aria di Londra e ora nessuno è disposto a sborsare tanto per niente e farsi bellamente pigliare per il culo.
Oltre a questo bisogna considerare una clausola che la Lazio ha dovuto accettare per portare a Roma il centrocampista spagnolo. Infatti nel caso volesse e riuscisse a darlo via, non potrebbe cederlo al Madrid che sarebbe l'unica squadra europea ad aver i soldi e poterlo acquistare: gli è vietato per contratto.
Tuttavia in un modo o in un altro arriva il momento del that's all folks, arrivederci e grazie (e soprattutto: ciavà!), e Mendieta se ne va a Barcellona, dove sarà una copia sbiadita del giocatore tanto ammirato solo pochi mesi prima. La sua esperienza in blaugrana durerà poco e s'accaserà, e questo è l'ultimo domicilio conosciuto, nel Nord Est dell'Inghilterra, nella città di Brian Clough, Don Revie (gente di cui abbiamo già trattato in questo blog) e, soprattutto, Pete Doherty: Middlesbrough.


Tra parentesi: questo è l'ultima rock star inglese. Ma quanto è fottutamente bello con lo stendardo della Roma e quanto è bello sentirlo cantare: “Genoa, Verona, Milan... Roma: anywhere in Albion!”

Fondamentalmente l'esperienza di Mendieta in terra inglese è incolore, forse proprio come la città di M'brough e non c'è tanto di cui parlare, se non dei suoi capelli.


Ma “il bello” viene ora.
Ricordate che all'inizio ho sbabbelato circa la canzone dei Radiohead che poi non ho più menzionato?

Entrano ora in scena i Gasteiz Gang, Gruppo di sconosciuti DJ che nell'estate del 2011 si presenta al festival di Benicassim, uno dei più importanti al mondo, e mette su band del calibro di Clash, Strokes e Arcade Fire. Come detto, nessuno sa chi cazzo siano, ma dal FIB si lasciano scappare qualche indiscrezione e si viene a sapere che in questo sedicente gruppo di sedicenti DJ c'è qualcuno che in Spagna non si vede da un po' ma che tutti saprebbero identificare: un illustre desconocido, e quel qualcuno è Gaizka Mendieta.

How to disappear completely = come scomparire del tutto.
Ag sàm.
Un calciatore che tramonta nel Nord Est dell'Inghilterra e che si ripresenta in incognito, in qualità di DJ, ad un festival spagnolo.
Non ci credete? Non ci credevo nemmeno io, però è tutto vero.


Lo stesso Gaizka pare aver commentato:”Mettere dischi è più facile che tirare un rigore”.

Ma non finisce qui perché l'ex centrocampista del Middlesbrough, che di mestiere ora farebbe il commentatore della Premier League in Inghilterra, ne ha in serbo un'altra fortissima.

Copa del Rey, anno 2011/12, una delle due semifinali è Barcellona-Valencia.
Al Mestalla è finita 1 a 1, e il ritorno si gioca al Nou Camp.
Il Valencia che non ha mai dimenticato Mendieta e che lo accoglierebbe come solo il padre col figliol prodigo (una delle peggiori parabole mai concepite, cui io riconduco il 90% dei mali dell'Italia), lo ingaggia per una pubblicità volta a scatenare l'euforia dei tifosi valenciani affinché riempiano bus e macchinate con direzione Barcellona, che tanto sperare non costa niente.

 
Per la cronaca il Valencia perde 2 a 0, il Barca va in finale on l'Athletic di Bilbao e lo sconfigge con tre reti a zero.
Curioso: Mendieta ha portato sfiga sia al Valencia che alla squadra della sua città natale, l'Athletic.
Allora la mia domanda è: Gaizka, io ti voglio bene, al tempo ti ho pure dedicato un account e-mail, ma non è che ti convenga veramente scomparire del tutto?

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