IL CALCIO DEGLI ALTRI - VOL. 1

GENIALE DILETTANTEN

Ascolto consigliato: Where do I begin – Chemical Brothers

Che pezzo

L’ascolto consigliato è quanto mai appropriato perché per raccontare questa storia è davvero difficile stabilire da dove cominciare, tale è il numero di connessioni neurali particolarmente discutibili da cui è affollata. Tuttavia vale la pena provarci, improvvisando una sorta di documentario immaginario che attraversa politica, musica, calcio e soprattutto la Storia, ovviamente quella con la S maiuscola. E se esiste un posto, ed esiste, che ha ed ha sempre avuto un rapporto ombelicale ed abrasivo con ognuna delle suddette categorie di pensiero, quel posto è Berlino.
Mettiamo allora un week end degli anni’80 in quel luogo fisico ma ancor prima mentale che un novero di band tedesche ha eletto come proprio domicilio artistico: Berlino Ovest. Si potrebbe curare una retrospettiva malata di quali e quanti gruppi popolassero i locali della città tedesca nei fine settimana, sponda occidentale della Sprea. Infatti, per quei tempi, valeva un motto a me molto caro che mutuo da una delle mie serie tv favorite, “Game of Thrones”, ossia che “Chaos isn’t a pit, chaos is a ladder”

Nerz inside

La confusione berlinese di quegli anni era fortissima, fertilissima e generava creatività; la mancanza di punti di riferimento da seguire con assoluta certezza e serenità lasciava liberi di non definire alcun contorno e, a volte, limitare la vista delle cose costringe ma soprattutto autorizza a spingere lo sguardo più lontano. 

Potrei richiamare alla memoria un sacco di band che identificano la Berlino di allora. 
Penso agli Einsturzende Neubauten, definizione per antonomasia della città stessa a cavallo degli anni’80. Tradotto significa infatti “Nuovi edifici che crollano”, come a voler dire che Berlino era il centro del mondo, anzi, era il centro di due mondi, uno dei quali, quello orientale, rappresentava il nuovo che non avanzava e che crollava su sé stesso. Da citare anche i Deutsch-Amerikanische Freundschaft, confidenzialmente chiamati D.A.F., risposta ad una domanda mai formulata, un effetto senza causa o una causa senza effetto, ‘na roba cui, anche sol per necessità di catalogazione, si fa fatica a trovare casa. Eppure forse è una delle più sintetiche di un’ipotetica compilation: senza stare a fare troppe messe in piega i loro brani descrivevano con ritmo arrembante, con un cantato rivedibile ed una buona dose di idee sconnesse il clima caotico di cui ho sbabbelato in precedenza. Insomma, me li immagino, ‘sti ragazzotti incerti del loro presente e del loro futuro ammassarsi in poghi selvaggi dentro discoteche losche e sporche, che nulla hanno da dire se non a chi non ha niente di meglio da fare. Quasi a dire, e chiudendo un ideale cerchio che ho aperto solo nella mia testa:”Delle sale da ballo un po’ più che di merda, un’opinione pubblica un poco meno stupida”.

Ascolto indispensabile: Live in Punkow – CCCP

Non esiste un mio articolo senza Noel Gallagher o i CCCP

Proprio come canta Giovanni Lindo Ferretti, l’Europa di quegli anni è persa in trance, in Alexanderplatz come in Piazza del Duomo a Reggio Emilia, sua immaginifica periferia, e Berlino era la sintesi perfetta di tutto questo. Meglio ancora l’Est della città stessa perché come ha ben descritto Massimo Zamboni, ossia l’alter ego del pardo di Cerreto Alpi, scattare foto nella parte filo-sovietica della città era fin paradossale perché le immagini sembravano in bianco e nero anche quando in realtà dovevano essere a colori, e questo perché Berlino Est era bicromatica anche quando c’era il sole e faceva bel tempo. 

Ed è proprio alla parte orientale del muro che -fosse una ghost track di una supposta selezione delle canzoni di quell’epoca, sarebbe quella più adatta-  è dedicato un famosissimo brano che chiunque di noi ha ballato almeno una volta nella vita senza minimamente capire che cosa diavolo significassero le parole: "99 Luftballons" di Nena, al secolo Gabriele Susanne Kerner, nata e cresciuta nella città di Hagen in Renania, Germania Ovest. 
La coincidenza delle nomenclature e delle casistiche ha imposto alla mia attenzione due rilevanti curiosità legate a questa artista. Di Berlino Est era infatti originaria Nina Hagen, una cantautrice molto celebre al tempo, il cui nome differisce da quello di Nena per una sola vocale (I di NIna contro la E di NEna) e il cui cognome è uguale a quello della città da cui proveniva quest’ultima. La cantante berlinese ebbe grande successo con “Du hast den Farbfilm vergessen”, che in italiano suonerebbe come “Hai dimenticato di prendere il rullino a colori”, il cui testo è una sottile e arguta critica al nebbioso regime della DDR.
Ufficialmente infatti le parole del brano raccontano di una ragazza che rimprovera il proprio fidanzato di non essersi ricordato il rullino a colori con cui avrebbero potuto scattare meravigliose foto della loro bellissima vacanza, da mostrare agli amici e farli rodere d’invidia. Ufficiosamente, ed è questa la seconda curiosità, quello che Massimo Zamboni poteva permettersi di dire riferendosi alla triste bicromia di Berlino-Est senza incorrere in alcun pericolo di censura, non era tollerato se proferito da un tedesco orientale, a meno che non venisse ironicamente incardinato tra le righe di una canzone apparentemente di tutt’altro taglio e registro, così come aveva fatto Nina.

Un collage degno del miglior Riccardo Cavani

L’artista berlinese fa da filo d’Arianna tra musica e calcio perché Nina, proprio lei, è l’autrice di Eisern Union, inno di una delle più amate e pasionarie squadre di Berlino Est: il Fuẞballclub Union Berlin. 

Ascolto imprescindibile quanto irritante: Eisern Union – Nina Hagen

In questo inno c'è il peggio del peggio della musica

Bisognerebbe aprire un numero incommensurabile di parentesi per descrivere questa squadra e tutto ciò che le ruota attorno perché non solo si tratta della più british delle squadre tedesche, e già questo basterebbe a renderla diversa da tutte le altre, ma è stata anche la meno irregimentata di tutta la DDR. È stato l’omologo orientale di quello che tra l'Elba e la Reeperbahn sarebbe divenuto il St. Pauli: anticonformista, forte di una radicata identità territoriale e destrutturato a livello gerarchico e decisionale. 


LA VECCHIA CASA DEL GUARDABOSCHI

Occorre però andare con ordine, ripartire dall'alfabeto tedesco e pescare nel torbido di quegli anni.

Ascolto necessario per potersi dire uomini completi: Black Water – Apparat

Fact isn’t what you see, 
not anymore what it used to be

Al tempo della Berlino divisa dalla guerra fredda, i biancorossi della Union erano la seconda squadra della Capitale. Fondamentalmente le cose non sono cambiate nemmeno adesso, ma se ora lo è alle spalle della più celebre, ricca e foraggiata Hertha, al tempo divideva la popolarità del tifo berlinese orientale con la più blasonata e potente Dynamo, il cui massimo sponsor era rappresentato dalla Stasi, il Ministero per la Sicurezza dello Stato. 

N'c'è n'cazzo da ride.

Tuttavia ciò che ha sempre fatto discrimine tra la Union e le altre squadre di Berlino va ricercato alla radice del tifo. Infatti i suoi stessi fan hanno sempre vissuto una relazione simbiotica con il club, tant’è che nel 2007 lo stadio, ormai inadeguato ai nuovi tempi e al nuovo stile, venne ristrutturato a spese e grazie alla manodopera dei tifosi che si armarono di paletta, cazzuola e motopicco, e lo sistemarono secondo i crismi moderni, fino a trasformarlo in un piccolo gioiellino. Chi non era adatto al lavoro edile si occupò di non far mai mancare salsicce, birre e vodka per il ristoro dei volontari: una cosa molto da “libro Cuore” del calcio. L’Union Berlin vendette letteralmente la propria anima ai tifosi. E lo fece in una maniera unica, che non trova quasi paragoni nel resto del mondo, dove lo stadio, quando va grassa, è al massimo proprietà dei club.

Il messaggio è "Vendere l'anima ma non a tutti": meno male che Silvio, che rappresenta il Diavolo, c'è.

Pertanto l’impianto con uno dei nomi più caratteristici al mondo, lo Stadion An der Altern Försterei, che in italiano suona più o meno come “Stadio alla vecchia casa del guardaboschi”, divenne proprietà degli Eisern, termine con cui vengono chiamati i tifosi della Union. 
“Uomini di ferro” perché appartenenti alla classe operaia forgiata nelle officine meccaniche e siderurgiche del quartiere cui riconduceva la sua più fiera appartenenza: il Köpenick, ove una volta sorgeva l’omonima foresta. Gente dura e pura, cresciuta con la tuta blu del lavoro, un socialismo pratico e non di facciata, disincantato rispetto all’imperante regime autoritario dell’epoca, più attento alla psicotica conservazione dello status quo piuttosto che allo sviluppo del proprio tessuto sociale. 
I ribelli Eisern, dicevo, gente che attendeva la partita del proprio club non solo per svagarsi ma anche e soprattutto perché l’Alte Försterei ogni domenica diventava l’unico porto franco della Germania Orientale in cui poter celare dissidi e malcontento dietro cori inneggianti all’Hertha, la squadra dell’Ovest Berlinese, contro la Stasi, che nel vociare omertoso dei tifosi non poteva individuare i ribelli, e specialmente contro il paranoico potere politico. Significativo era l’incoraggiamento a calciare il più forte possibile quando alla Union veniva assegnata una punizione e la squadra avversaria correva ai ripari schierando una barriera di giocatori tra il tiratore e il portiere:”Die Mauer muss weg”. Il muro deve cadere: un consiglio lapalissiano ma criptico a sufficienza perché gli insubordinati tifosi biancorossi fossero immuni da qualsiasi accusa e da qualsiasi reato d’opinione.

Vi giuro che non c'è un'immagine migliore. Comunque tutto intorno c'è una mega foresta.

Prima di passare oltre, val la pena lanciarsi in un’ultima digressione riguardo lo stadio che sorge lì dalla vecchia casa del guardaboschi, e dire due cose su una singolare tradizione che ha preso piede da una dozzina d’anni: il Weihnachtssingen.

La Vigilia di Natale del 2003 una novantina di tifosi della Union si diede clandestinamente appuntamento all’Alte Försterei per augurarsi buone feste prima della pausa invernale, bere qualche birra insieme e cantare qualche coro in quella che era diventata la loro seconda casa.
Un po’ perché le belle idee sono manifestamente fertili, un po’ perché lo spiccato senso organizzativo è prerogativa teutonica, dieci anni dopo sonostati 27.500 tifosi della Union, e non solo, a trovarsi allo stadio e a rinnovare questa meravigliosa usanza: birra, Glühvein, inno degli Eisern e canti di natale. Come miscelare l’epico al quotidiano e al contempo fare business di sé stessi.

In un contesto così se non si scopa sicuro è perché ci si vuole opporre al destino

Ultima grande e propedeutica curiosità prima di proseguire oltre. Alla Foresteria è rimasto un cimelio dei tempi che furono, un tabellone di legno, vecchio e ingiallito, su cui è fissato un risultato passato alla storia, quello di una paga orba che fece e chiuse un’epoca: l’8 a 0 che nel 2005 gli Eisern inflissero agli odiati nemici della Dynamo, l’altra squadra di Berlino Est, cui l’Union era sempre stata legata a doppio filo.


ORTODOSSIA

Per quanto io possa sembrare lontano dal vero oggetto della discussione, e per quanto in effetti lo sia, l’intenzione è indagare tra le pieghe di un incredibile unione a incastro, sfregare tra loro le vicende eccezionali che la rendono tale, e infine unire i puntini, smascherando la storia del calciatore di cui è ancora presto rivelare le generalità. O meglio, è interessante approfondire ancora un po’ il background berlinese dell’epoca, prima di finire con le scarpe e tutto in eventi vorticosi che non sono mai stati narrati con completezza.

Ascolto fondamentale che ci distingue dall'essere bestie: Disperato Erotico Stomp - Lucio Dalla

Mi guarda con la faccia un po’ stravolta, mi dice “Sono di Berlino”

Lucio Dalla cantava d’essere stato a Berlino con Bonetti, di aver trovato la città un po’ triste e molto grande. In realtà il cantante bolognese amava la metropoli tedesca e fu proprio su una panchina nelle vicinanze di Check Point Charlie che scrisse il testo di Futura, una tra le sue canzoni più profonde, più intrise di ottimismo e speranza. Tuttavia quello che esternamente passava di Berlino, in particolar modo della parte orientale, era un irrisolto senso di malinconia, un grande e mesto grigiore che veniva declinato in ogni aspetto della società, compreso quello calcistico. Ed era in proprio in quest’ultimo scenario, uno dei più foschi, che si inseriva perfettamente la Dynamo Berlin, l’oscura antagonista della Union, il cui Presidente era Erich Mielke, il secondo uomo più potente della DDR, vale a dire il massimo dirigente della Stasi.

Film consigliato: Le vite degli altri di Florian Von Donnersmarck

Quei film che guardo solo io perché sono un malato di mente ma da cui ho tratto il nome per l'articolo.

Come la Stasi di celluloide si insinuava ne “Le vite degli altri”, arbitrandone le sorti e volgendole a quello che riteneva un orwelliano bene supremo, così Mielke condizionava i direttori di gara e i presidenti dei club avversari. Gli arbitri assumevano un atteggiamento favorevole a partigiano nei confronti dei calciatori in maglia vinaccia, mentre ai patron delle altre squadre veniva “caldamente consigliata” la cessione dei propri giocatori migliori pro bono di Berlino. Non può che risultare assurdo il fatto che tra il 1979 e il 1988 la Dynamo abbia conquistato dieci campionati di fila (tra l’altro i soli che abbia vinto in tutta la sua storia, e in forza dei quali, per autorizzazione concessa dalla Deutscher Fuẞball-Bund, sfoggia tuttora una stella con all’interno il numero 10), e che a metà degli anni ’80 sia rimasta consecutivamente imbattuta per 36 partite. Per la cronaca questo infido dominio non solo le valse perfide etichette, su tutte “elf Schweine”, ossia gli undici porci, ma paradossalmente fu anche causa del crollo nelle affluenze dei propri tifosi che disapprovavano lo sfacciato e avvelenato favoritismo nei confronti della Dynamo.

Notare la palla rossa e nera

Naturalmente non si è mai trovata alcuna autentica prova vòlta a dimostrare che le partite fossero state realmente accomodate e che l’acquisto dei migliori calciatori della DDR fosse avvenuto liberamente, per legge di mercato o bilaterali interessi economici. Oggi è certamente facile e più che lecito crederlo ma è altresì corretto riconoscere come la Dynamo potesse vantare un eccellente settore giovanile e contare su un prominente e vivace lavoro di scouting.

In secondo luogo non va assolutamente dimenticato come in territorio neutrale, ossia sotto l’egida europea dell’UEFA, la BFC (acronimo che sta per Berliner Fuẞballclub) abbia raggiunto per ben due volte i quarti di finale dell’allora Coppa dei Campioni: traguardo degno di nota, specie quando si pensa che significa appartenere alla cerchia delle otto squadre più forti d’Europa. E questo, per come la vedo io, è sempre sinonimo di qualcosa che va (o per lo meno deve andare) oltre molti sospetti. E che riesce ad essere indipendente dalle epopee degli uomini e delle nazioni.

Che belli i filmati con i pixel così grandi che non si riesce a capire un cazzo.

Nel 1984 fu la Roma a fermare la Dynamo, quella stessa Roma che poi perse rocambolescamente col Liverpool la più bizzarra rigorata mai andata in scena nel corso di una finale di Coppa dei Campioni. Sorvolando sull’epilogo di quell’edizione e riprendendo le fila del discorso, all’Olimpico finì con un rotondo 3 a 0 per i giallorossi, mentre a Berlino Est il risultato di 2 a 1 disse bene ai ragazzi in maglia vinaccia ma non fu sufficiente per ribaltare le sorti della doppia sfida. Uno dei due gol dei tedeschi venne messo a segno da un attaccante magro stellato su cui val la pena soffermarsi il tempo di una birra, o forse due, o forse una serata intera al bar: Andreas Thom, uno che non sapeva o che forse sapeva benissimo che avrebbe potuto ballare per tanto, troppo tempo, con la ragazza sbagliata.

Questa potrebbe tranquillamente essere la copertina di un album brutto dei Joy Division

Per il giovane centravanti della Dynamo, quella contro “’a Maggica” era solamente la sua terza partita ufficiale in Europa. Aveva fatto il suo debutto ufficiale nella massima competizione continentale a Belgrado contro il Partizan, poco più che diciottenne, quando l’attaccante titolare Falko Goetz s’era dato alla fuga riparando nell’ambasciata della Repubblica Federale Tedesca nella capitale jugoslava insieme al compagno Dirk Schlegel, con cui poi sarebbe salito su un treno che sarebbe precipitato nella notte, destinazione Monaco di Baviera. Evidentemente doveva esserci un filo rosso che collegava le carriere dei due avanti della Dynamo perché si sarebbero rincontrati proprio a Berlino, in circostanze diverse ma sempre legate al calcio, parecchi anni più tardi.

Ascolto folkloristico: Falco - Amadeus
Non chiedetemi perché ma all'Addio al Celibato di #bertalife Amadeus è stato sempre nel lettore insieme a Eins Zwei Poilzei

Ad ogni buon modo Andreas Thom fece carriera fino a diventare capocannoniere nel 1988 e aggiudicarsi, lo stesso anno, il titolo di miglior giocatore del torneo. Imprescindibile in Nazionale che capitanò più volte, fu della stessa epoca di Matthias Sammer, col quale condivise le storiche marcature nella vittoria del derby socialista contro l’Unione Sovietica, giocato l’8 Ottobre del 1989.

Bel ragasol

Quella di Karl Marx-Stadt non fu l’ultima partita della DDR, ma solo perché ne vennero giocate altre per formalità e per carità di Patria. Di certo fu quella più surreale perché un mese più tardi sarebbe caduto il Muro e le due Germanie sarebbero diventate una in tutto, compreso il calcio. Ebbene, i mercanti del tempio della Bundesliga fiutarono il sangue delle squadre dell’Est, e dato che queste non erano più in grado di trattenere i propri talenti vi si precipitarono addosso come avvoltoi. 

  • L’Amburgo convinse Thomas Doll, un promettente ventiduenne della Dynamo Berlin a trasferirsi sulle rive dell’Elba. 
  • Lo Stoccarda prelevò dalla Dynamo Dresda, l’unica squadra ad essere riuscita a spezzare la decennale egemonia di Berlino, il futuro Pallone d’Oro Matthias Sammer. 
  • Il Bayer Leverkusen s’assicurò, con due colpi da maestro del Direttore Sportivo della stessa Werkself (una storia nella storia che qualcuno ha già scritto molto meglio di come potrei fare io e rispetto cui non ho tempo per addentrarmici) gli attaccanti principi delle due storiche rivali di oltre Cortina: Ulf Kirsten e, naturalmente, Andreas Thom. Per inciso, questi quattro calciatori Ossis (come venivano chiamati i tedeschi dell’Est) sono tra i pochissimi (in totale sono otto) a poter dire di aver militato sia per la Nazionale della Germania Orientale che per la Mannschaft.
Comunque sia, Thom, dopo essersi accasato nell’industriosa Leverkusen e avervi giocato per cinque anni ad un livello più che discreto, trascorse due stagioni al Celtic e fece infine ritorno a casa, proprio in quella Berlino da cui era “regolarmente scappato” una decina scarsa di anni prima. 

Nel frattempo la ragazza sbagliata, la Dynamo, con cui aveva ballato per tanto, troppo tempo, aveva perso fascino e influenza, e nella Capitale tedesca c’era spazio solamente per "die Alte Dame", la Vecchia Signora di Germania: l’Hertha Berlin. Se nel calcio c’è un Dio, non credo che questo giochi a dadi, per cui mi risulta anche difficile credere che sia solo una coincidenza il fatto che all’Olympiastadion fosse di istanza Falko Goetz, il cui nome dovrebbe dirci qualcosa, dato che era stata proprio la sua fuga attraverso i Balcani a dare il la alla carriera del buon Andreas.
Stando alle informazioni che si recuperano in rete, proprio il poc'anzi summenzionato transfuga dell’Est era l’allenatore dei biancoblu. Io però patisco sempre sbrusia di verificare le mie fonti, se non altro per evitare di sparare cazzate "tanto per". E, actually, scopro che sì, quel vecchio bucaniere di Falko (non dimentichiamolo: Scuola di Nanto) era davvero a Berlino, era davvero allenatore, ma della squadra riserve. Fa li stèss perché val comunque la pena prender buona nota di questa improbabile fatalità e farne un piccolo tesoro di coincidenza e retroscena.

Nessuno qui aveva ancora preso i cartoni di Ken Shiro come punto di riferimento: inammissibile. 

In un personalissimo “a rebours” a tinte rossonere, si rincorrono alcuni nefasti ricordi di un Hertha Berlin – Milan 1 a 0, Champions League ‘99/2000. Ho chiara memoria di quella partita. Era l’ultimo anno di Liceo e stavo guardando quella partita insieme ai miei compagni. Rammento che per tutta la durata dell’incontro pigliammo per il culo il semplice quanto efficace portiere avversario, Gabor Kiraly, la cui unica (ma grossa) colpa era un dress-code particolarmente discutibile. Il suo outfit per la serata di gala prevedeva una maglia a maniche lente e larghe ma, soprattutto, un paio di pantaloni grigi e anche un po’ bracaloni. A corti discorsi sembrava indossasse un pigiama da nonno, che, di base, non solo è l’anti-sesso per antonomasia, ma non è il massimo della vita quando giochi in Champions League contro il Milan.

Quanti di voi avevano menzione di lui prima che venissero disputati gli Europei di Francia 2016?

Al di là di questo, fa quasi sorridere pensare che di quella rosa faceva parte Andreas Thom e che un giorno ne avrei parlato.
Tuttavia, per quanto questa divagazione possa essere apparsa singolare, l’Hertha non è altro se non l’attrice non protagonista di una più elaborata sceneggiatura e, come è stato possibile raccontare la bella storia del suo biondo attaccante, c’è stato un altro giocatore cui la sorte non disse bene come a Thom. Un calciatore il cui abbandono della Dynamo non aprì scenari insperati e orizzonti di gloria più che meritati, un eroe normale cui mancò la fortuna, non di certo il coraggio...

To be continued...

Bibliografia essenziale:
Quello che deve accadere, accade - Michele Rossi
http://www.storiedicalcio.altervista.org/stadio_union_berlin.html
http://www.lacrimediborghetti.com/2015/05/andreas-thom-da-est-ovest-senza-scappare.html
https://questoluridogioco.wordpress.com/2014/05/20/la-fine-della-storia-e-il-crollo-del-football-nella-ddr/
http://indieopenbar.blogspot.it/2014/12/die-genialen-dilettantent-retrospettiva.html

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